L’analisi del rischio geopolitico di Enel è stata condotta, in maniera autonoma e indipendente da Stroncature, con un approccio metodologico che pone al centro la stabilità politica e istituzionale dei paesi in cui l’azienda opera o da cui dipende per le forniture strategiche. La tesi metodologica di fondo è che sono le istituzioni pubbliche e la capacità della politica di imporre con la forza o meno proprie decisioni sono un fattore potente in grado di condizionare la vita di una azienda, l’andamento dei suoi investimenti e le prospettive di crescita. Il principale indicatore utilizzato per misurare questo aspetto è stato la solidità o meno dello stato di diritto, in quanto riflette la solidità delle istituzioni, la prevedibilità delle politiche economiche e la tutela degli investimenti. Un contesto politico stabile, caratterizzato da un elevato livello di stato di diritto, riduce il rischio di interventi governativi arbitrari, espropri, cambi normativi improvvisi e instabilità sociale. Per questo motivo, ogni paese in cui Enel ha una presenza diretta o da cui dipende per l’approvvigionamento è stato valutato attraverso un’analisi qualitativa della governance, della trasparenza normativa e della sicurezza economica, integrando indicatori riconosciuti a livello internazionale. Questo ha permesso di identificare e classificare i paesi in base al loro livello di rischio geopolitico, distinguendo tra contesti altamente stabili e paesi caratterizzati da incertezza politica e vulnerabilità istituzionale.
Inoltre, per comprendere la resilienza di Enel a questi rischi e formulare strategie di mitigazione efficaci, è stata applicata la moderna teoria della gestione del portafoglio. Considerando l’azienda come un portafoglio di investimenti distribuito su diverse aree geografiche e fonti di approvvigionamento, l’analisi ha valutato il grado di diversificazione e concentrazione del rischio, identificando eventuali esposizioni critiche a specifici paesi, rotte commerciali o fornitori. È stato inoltre esaminato il livello di correlazione tra i rischi per determinare in che misura shock geopolitici in un’area possano propagarsi ad altri segmenti del business. La classificazione ha distinto tra rischi sistemici, legati a trasformazioni globali non mitigabili attraverso la diversificazione, e rischi specifici, che possono essere gestiti attraverso strategie di allocazione mirata. L’analisi ha incluso anche rischi regolatori, operativi, reputazionali e di mercato, valutando l’impatto che cambiamenti normativi, crisi diplomatiche, conflitti commerciali o instabilità economica possono avere sulle attività di Enel. Questo approccio ha permesso di costruire un quadro strutturato del rischio geopolitico, fornendo una base quantitativa per decisioni strategiche e di gestione della sicurezza operativa nel contesto internazionale.
L’analisi è stata condotta sui dati pubblici di Enel.
Sicurezza energetica
Enel affronta innanzitutto il rischio geopolitico di interruzione delle forniture energetiche e la dipendenza da importazioni strategiche di combustibili. La guerra in Ucraina ha evidenziato brutalmente questa vulnerabilità: l’invasione russa del 2022 ha innescato la prima vera crisi energetica globale, con prezzi alle stelle e mercati in forte incertezza. In particolare, l’Europa – e l’Italia in primis – si è trovata a dover sostituire in poco tempo il gas naturale russo, che prima della guerra copriva oltre il 40% della domanda UE. Dopo il taglio di 80 miliardi di m³ di forniture via gasdotto da parte di Mosca, nel 2022 l’UE ha dovuto colmare un “buco” di 160 miliardi di m³ ricorrendo a fonti alternative. Gran parte del deficit è stato coperto con importazioni aggiuntive di GNL – soprattutto dagli Stati Uniti – mentre la domanda interna veniva compressa da risparmi forzati e clima mite. Di conseguenza, la quota di gas UE importata dalla Russia è crollata a circa il 10% nel 2023, rispetto a oltre il 40% degli anni precedenti. Questo rapido “divorzio” dal gas russo ha migliorato la sicurezza energetica europea, ma ha anche comportato costi elevati e nuove dipendenze (ad esempio dagli Stati Uniti, dal Qatar o dall’Algeria per il GNL).
Enel, quale principale utility italiana, ha dovuto reagire prontamente a questo mutato scenario. Subito dopo lo scoppio della guerra, la società ha riesumato il progetto – precedentemente accantonato – di un terminale GNL a Porto Empedocle (Sicilia), riconoscendo la necessità di ridurre il legame ai gasdotti e di ampliare la capacità di importazione via nave. Il piano si inserisce nello sforzo nazionale per rendere l’Italia indipendente dal gas russo entro 24-30 mesi (dichiarato nel 2022), diversificando le forniture verso partner ritenuti più sicuri come Qatar, Algeria e Azerbaijan. In parallelo, il Governo ha semplificato le autorizzazioni per nuovi rigassificatori, consapevole che l’avvio di impianti come Porto Empedocle (8 miliardi m³/anno di capacità) richiederà alcuni anni. La diversificazione delle fonti è dunque divenuta prioritaria: aumentare i punti di ingresso del gas e puntare su combustibili alternativi riduce il rischio di interruzioni unilaterali.
Un secondo pilastro della sicurezza energetica è l’accelerazione delle fonti rinnovabili domestiche. Produzione eolica, solare, geotermica e idroelettrica locali abbassano la dipendenza da combustibili importati e rendono il sistema più resiliente a shock esterni. Anche qui, gli eventi recenti hanno fatto da catalizzatore: governi di tutto il mondo – con iniziative come REPowerEU in Europa e l’Inflation Reduction Act negli USA – hanno rafforzato il sostegno alle rinnovabili proprio per “bolster their domestic energy security”, ossia potenziare la sicurezza energetica nazionale sulla scia della crisi 2022. Enel, già leader mondiale nelle rinnovabili, sta incrementando ulteriormente gli investimenti green in Italia, Spagna, Stati Uniti e altri mercati chiave, così da ridurre l’esposizione a materie prime fossili volatili. Non va dimenticato che la sicurezza energetica comprende anche la resilienza delle infrastrutture di rete: black-out o attacchi (fisici o informatici) a gasdotti, oleodotti e centrali possono minare la continuità del servizio. Il conflitto ucraino ha mostrato come persino impianti elettrici possano diventare bersagli strategici (in Ucraina, bombardamenti russi hanno devastato centrali e lasciato milioni di persone senza elettricità). Enel deve quindi considerare piani di emergenza e collaborazione con le autorità per proteggere i propri asset critici in ogni paese. In sintesi, sul fronte sicurezza delle forniture Enel ha intrapreso una duplice strategia: diversificare i partner e vettori di importazione nel breve termine (es. GNL) e sostituire strutturalmente le fonti fossili con energia rinnovabile e efficienza nel lungo periodo, aumentando così l’autosufficienza energetica.
Regolamentazione e politiche energetiche
Il secondo grande ambito di rischio riguarda l’evoluzione di normative, regolamentazioni e politiche energetico-climatiche sia a livello UE che internazionale. Enel opera in molte giurisdizioni e deve quindi conformarsi a requisiti regolatori differenti e in rapido mutamento. In Europa, il Green Deal e la normativa climatica comunitaria hanno fissato obiettivi ambiziosi – ad esempio la Climate Law UE vincola legalmente a raggiungere zero emissioni nette entro il 2050, con tappe intermedie come -55% di emissioni al 2030 e una probabile riduzione di ~90% al 2040. Ciò implica politiche sempre più stringenti su emissioni, efficienza e quote di energia rinnovabile. Per un gruppo energetico come Enel, che ancora gestisce centrali termoelettriche (sebbene in fase di dismissione del carbone), questi obiettivi si traducono in rischio di assets obsoleti o “stranded” se non riconvertiti in tempo. Ad esempio, norme più severe sulle emissioni potrebbero accorciare la vita utile degli impianti a gas o imporre costosi adeguamenti (come sistemi di cattura della CO₂). Allo stesso tempo, opportunità e incentivi (sussidi a rinnovabili, capacity market per impianti flessibili, fondi per reti intelligenti) dipendono dalle scelte di policy: l’incertezza regolatoria rende difficoltosa la pianificazione di investimenti pluridecennali.
Un aspetto cruciale è la tassazione del carbonio. In UE il sistema ETS già assegna un prezzo alla CO₂, cresciuto vertiginosamente oltre 80-90 €/ton negli ultimi anni, aumentando i costi di generazione termoelettrica. Inoltre, dal 2026 entrerà in vigore il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), un meccanismo innovativo che imporrà un dazio sulle importazioni di prodotti ad alta intensità di carbonio (acciaio, cemento, fertilizzanti, elettricità, ecc.) da paesi senza equivalenti politiche climatiche. L’intento è evitare la “fuga di carbonio” (carbon leakage) e salvaguardare la competitività delle industrie europee decarbonizzate. Tuttavia, regolazioni complesse possono generare effetti collaterali indesiderati: ad esempio, una clausola poco nota del CBAM rischia di penalizzare anche l’energia rinnovabile importata. Se non vi saranno correzioni, dal 2026 persino l’elettricità eolica/solare britannica esportata in UE potrebbe vedersi applicare un’onerosa tariffa CO₂, basata su un fattore predefinito che ignora il fatto che quelle fonti non emettono. Ciò, secondo gli operatori, ridurrebbe i ricavi dei parchi rinnovabili UK e paradossalmente “disincentivises clean power in the UK” proprio mentre Europa e Regno Unito puntano a espandere l’energia verde. Questo esempio illustra come nuove normative climatiche, pur pensate per i settori fossili, possano creare incertezza anche per operatori virtuosi come Enel, richiedendo un attento lavoro di coordinamento politico per evitare distorsioni. Enel dovrà quindi seguire da vicino l’implementazione del CBAM e di altre direttive (es. le nuove regole sul mercato elettrico UE attualmente in discussione) per adattare al meglio le proprie strategie commerciali (ad esempio ottimizzando i flussi di elettricità cross-border o l’origine dei materiali).
Un ulteriore rischio regolatorio è rappresentato da interventi ad hoc dei governi sui mercati energetici, spesso in risposta a situazioni di crisi. Il caso più evidente è stata la tassazione straordinaria degli extra-profitti delle società energetiche durante il boom dei prezzi 2021-2022. In Italia, ad esempio, sono state varate “windfall taxes” sui profitti eccedenti: nel 2022 un prelievo sul fatturato IVA (poi convertito in imposta sul reddito 2023 al 50% dell’eccedenza) ha fruttato circa 2.8 miliardi di euro. Tali misure hanno però scatenato un contenzioso significativo: la prima versione ha visto “criticism and refusals to pay from multiple firms” (diverse aziende hanno rifiutato il pagamento ritenendola incostituzionale). Enel stessa ha contestato il metodo di calcolo basato sull’IVA, contribuendo a un dibattito che ha portato a rimodulare la tassa. Il rischio per il Gruppo è duplice: da un lato l’impatto finanziario diretto di imposte impreviste (nel 2023 Enel ha stimato un esborso di centinaia di milioni per la windfall tax italiana), dall’altro il clima di incertezza che può frenare investimenti, soprattutto se tali interventi fossero reiterati. Il governo attuale ha assicurato di voler evitare il bis, confidando che il calo dei prezzi energetici scongiuri nuovi extraprofitti. Ma in un settore soggetto a cicli e volatilità, non si può escludere che in futuro altri Paesi adottino misure simili (ad esempio la Spagna e la Romania hanno introdotto proprie tasse sugli utili energia). Enel deve quindi tenere conto nel risk management anche di questa eventualità, magari diversificando le giurisdizioni di profitto e dialogando attivamente col regolatore per soluzioni più eque (come contributi volontari o investimenti forzati a beneficio dei clienti).
Sul fronte delle politiche industriali, la competizione tra grandi economie per leadership nella transizione energetica sta portando a pacchetti legislativi di ampia portata, che creano sia opportunità sia rischi per Enel. Negli Stati Uniti, l’Inflation Reduction Act (IRA) approvato nel 2022 prevede oltre 370 miliardi $ di incentivi a produzione di energie rinnovabili, filiere di batterie, veicoli elettrici e idrogeno. Questo ha catalizzato investimenti manifatturieri in Nord America da parte di vari attori globali – Enel inclusa. Il gruppo ha annunciato nel 2023 un investimento superiore a 1 miliardo di dollari per costruire una fabbrica di pannelli fotovoltaici in Oklahoma, con l’obiettivo di “capitalise on a U.S. push to build a homegrown clean energy manufacturing sector to compete with China”. Impianti di questo tipo beneficeranno dei generosi tax credit IRA (ad esempio un bonus del 10% sul costo dei progetti che impiegano moduli made in USA). D’altro canto, l’IRA e la concorrenza fiscale americana mettono pressione all’Europa: se l’UE non risponde con misure comparabili (snellimento autorizzazioni, sovvenzioni, Carbon Contracts for Difference, etc.), aziende europee potrebbero spostare oltreoceano produzioni e progetti, indebolendo l’industria green continentale. Enel deve quindi bilanciare attentamente il proprio impegno tra le due sponde: cogliere le occasioni negli USA senza però ridurre la presenza in Europa, dove peraltro il Gruppo svolge un servizio pubblico essenziale. L’UE ha varato nel 2023 il piano Net-Zero Industry Act e un Fondo Sovrano europeo in embrione, ma i tempi di attuazione e le risorse sono ancora incerti. In sintesi, l’ambito regolatorio/politico presenta rischi di vincoli più stringenti (su emissioni, uso del suolo, standard tecnologici), di costi aggiuntivi (carbon tax, oneri di adeguamento, tasse emergenziali) e di squilibri concorrenziali dovuti a politiche differenziate tra aree (USA vs UE vs Cina). Per Enel, mitigare questi rischi significa impegnarsi nel policy advocacy internazionale (anche tramite associazioni di settore) per promuovere normative stabili e coerenti con la transizione, nonché adottare una strategia aziendale flessibile che anticipi i trend legislativi (ad es. puntando da subito a un mix a zero emissioni in linea con gli obiettivi climatici, così da trovarsi preparata a eventuali ulteriori strette normative).
Mercati emergenti e instabilità politica
Enel vanta una forte presenza in molti mercati emergenti di America Latina, Africa e Asia, storicamente caratterizzati da maggior instabilità politica ed economica rispetto ai paesi OCSE. Ciò espone il Gruppo a rischi di natura politica, regolatoria locale e macroeconomica in tali aree. In America Latina, dove Enel opera in paesi chiave come Brasile, Cile, Colombia, Perù (oltre al passato in Argentina), i quadri politici possono mutare rapidamente con l’alternarsi di governi di diverso orientamento. Cambi di amministrazione possono portare a revisione di contratti, regolamentazioni sui prezzi o perfino nazionalizzazioni di asset strategici. Fitch Ratings segnala che “uncertain political environments continue to inhibit investment in some countries, particularly Argentina and Mexico”, notando come il contesto politico incerto rimanga il principale ostacolo per investimenti nel settore elettrico in tali nazioni.
Un esempio emblematico è l’Argentina, dove Enel tramite la controllata Edesur gestiva fino a poco fa la distribuzione elettrica nell’area di Buenos Aires. Il Paese ha una storia di interventi governativi pesanti sul settore energetico in tempi di crisi economica. Dal 2019 al 2021 il governo argentino ha congelato le tariffe elettriche al consumo per contenere l’inflazione galoppante (oltre il 40% annuo). Questo ha sì protetto i cittadini dall’aumento dei prezzi, ma ha eroso la sostenibilità finanziaria delle utility: per quasi due anni Edenor ed Edesur non hanno potuto aumentare le bollette, fino a ottenere nel 2021 un primo adeguamento del +9% – del tutto insufficiente a compensare costi e inflazione. Tale situazione ha generato “tensions between utilities firms and parts of the ruling coalition”: da un lato le società come Enel chiedevano tariffe economicamente sostenibili per garantire manutenzione e investimenti, dall’altro frange politiche populiste si opponevano per ragioni sociali. Il risultato per Enel sono stati pesanti oneri e svalutazioni (oltre a un grave deterioramento del servizio: blackout diffusi hanno poi spinto le autorità ad intervenire su Edesur nel 2023). Di fronte a questo contesto, Enel ha deciso di uscire dall’Argentina: il piano strategico 2023-25 ha avviato la cessione di tutte le attività nel Paese, insieme a quelle in Perù, proprio per riallocare capitali verso mercati ritenuti meno rischiosi. Entro fine 2023, infatti, Enel ha completato la vendita di Enel Perú e contestualmente il governo argentino ha accordato la restituzione della concessione di Edesur, segnando di fatto l’addio di Enel all’Argentina. Questa scelta rientra in una strategia di de-risking geografico, concentrando il business in sei “core countries” (Italia, Spagna, Stati Uniti, Brasile, Cile e Colombia) considerati più stabili.
In Messico, altro mercato emergente dove Enel Green Power è attiva nelle rinnovabili, il rischio si è manifestato con le contro-riforme energetiche dell’amministrazione López Obrador. Il governo dal 2018 ha perseguito una linea nazionalista volta a restituire centralità alle imprese pubbliche (CFE per l’elettricità, Pemex per gli idrocarburi), a scapito degli operatori privati entrati con le liberalizzazioni precedenti. Nel 2021-2022 è stata proposta una riforma costituzionale che avrebbe garantito a CFE almeno il 54% del mercato elettrico, limitando produzione e vendite dei privati. Inoltre CFE avrebbe ripreso il controllo della distribuzione, dando priorità alle proprie centrali (spesso a fonti fossili) rispetto a impianti rinnovabili indipendenti. Le implicazioni per gli investitori in rinnovabili sarebbero state severe, minando i piani di decarbonizzazione di molte aziende domestiche e straniere. Questo ha allarmato la comunità imprenditoriale internazionale: “Many foreign companies and investors are said to be considering bringing lawsuits”contro il governo. In effetti, diversi paesi (USA, UE, Canada) hanno contestato le misure come violazioni di trattati commerciali. Alla fine, ad aprile 2022, la riforma costituzionale non ha raggiunto la maggioranza necessaria in Parlamento e è stata bocciata. Ciò ha scongiurato il peggio, ma il clima per mesi è rimasto incerto e “the considerable uncertainty in the Mexican energy market … has already hindered foreign investment”. Enel, pur continuando a operare in Messico, deve tenere conto che le condizioni di mercato possono cambiare per volontà politica e prepararsi a difendere i propri diritti contrattuali tramite il dialogo diplomatico o arbitrati internazionali (come previsti dall’USMCA o altri accordi).
Anche altri paesi latinoamericani presentano rischi: ad esempio il Cile, dove Enel è il maggior operatore elettrico, è generalmente considerato stabile, ma ha attraversato negli ultimi anni ondate di protesta sociale (2019) che hanno portato a proposte di riforme radicali, poi respinte. Tuttavia, il settore elettrico cileno resta attrattivo e con un buon track record regolatorio (Fitch attribuisce al Cile uno dei punteggi regolatori più alti in LatAm, pari ad A). Perù e Colombiahanno anch’essi sistemi relativamente solidi, sebbene in Perù il caos politico 2022-23 (con la caduta del presidente Castillo) abbia rallentato alcuni progetti. In Brasile e Colombia il rischio è spesso più macroeconomico (inflazione, tassi di cambio volatili) o legato alla complessità burocratica, mentre il quadro regolatorio delle tariffe è ben strutturato.
In Africa e Asia, la presenza di Enel è più limitata (alcuni parchi rinnovabili in Sudafrica, Zambia, India e iniziative in altri paesi). Qui i rischi possono includere instabilità politica (colpi di stato, conflitti civili), debolezza dello stato di diritto e rischio controparte (ad esempio utilities statali finanziariamente deboli che faticano a pagare l’energia acquistata). In Sudafrica, per esempio, la crisi di Eskom (utility statale in dissesto) crea incertezza sui pagamenti agli IPP privati, anche se finora i contratti PPA sono stati onorati. Inoltre la sicurezza fisica degli impianti può essere un tema in contesti di conflitto (si pensi al Sahel, o al Mozambico con insurrezioni vicino ad aree gasifere). Enel mitiga questi rischi solitamente collaborando con istituzioni sovranazionali (IFC, Banca Mondiale, assicurazioni SACE, etc.) e strutturando finanziamenti che coprano il rischio politico. Ad esempio, per progetti solari in Zambia o India, spesso si ricorre a garanzie e assicurazioni contro inadempienze statali.
In sintesi, l’esperienza recente ha insegnato a Enel che i rischi politici nei mercati emergenti – nazionalizzazioni de facto, controlli sui prezzi, instabilità di governo – possono impattare seriamente i ritorni e persino portare al ritiro dal paese. Il Gruppo sta rispondendo concentrando gli sforzi dove ha maggiore controllo e integrazione verticale (gli “hub” Americhe ed Europa), riducendo l’esposizione dove invece era solo produttore in mercati frammentati. Ciò non toglie che America Latina e altre regioni restino centrali per la crescita (offrono risorse naturali abbondanti per rinnovabili e domanda in aumento): la chiave sarà selezionare attentamente i progetti e i partner, ed essere pronti ad adattare i modelli di business alle condizioni locali (ad esempio partecipando a programmi sociali per mantenere buoni rapporti con autorità e comunità locali, o indicizzando i contratti a valute forti per mitigare svalutazioni).
Tensioni geopolitiche globali
Oltre ai rischi specifici per paese, Enel deve fronteggiare macro-tendenze geopolitiche globali che possono influire sull’economia e sull’industria energetica nel suo complesso. In questi anni si assiste a crescenti rivalità tra grandi potenze e a conflitti regionali che hanno ripercussioni su mercati, catene del valore e flussi commerciali. Tali dinamiche possono tradursi in volatilità dei prezzi energetici, sanzioni e restrizioni, difficoltà operative e incertezza negli investimenti.
Il caso più evidente è la guerra in Ucraina, già citata per l’impatto diretto sulle forniture di gas, ma che rappresenta in senso lato un fattore di rischio geopolitico per qualsiasi multinazionale europea. Il conflitto ha aggravato le tensioni tra blocchi (Occidente vs Russia) riportando uno scenario da Guerra Fredda in cui interdipendenze costruite in decenni (sul gas, ma anche su altre materie prime) vengono smantellate per motivi strategici. Enel, essendo partecipata dallo Stato italiano, si è allineata alle sanzioni UE verso la Russia e ha cessato ogni attività in quel paese. Nel 2022 il Gruppo ha infatti venduto la propria controllata Enel Russia a investitori locali (Lukoil e un fondo di Gazprombank), “exiting the country” completamente. L’operazione – autorizzata da decreto speciale di Putin a settembre 2022 – ha comportato per Enel una perdita contabile di circa 1,3 miliardi di euro (write-off del valore degli asset). Ciò evidenzia come tensioni geopolitiche possano forzare dismissioni dolorose: l’uscita dalla Russia, pur necessaria per ragioni legali e reputazionali, ha significato rinunciare a un mercato di 5 GW di capacità e subire un danno economico immediato. Allo stesso tempo, la guerra ha provocato forte volatilità sui prezzi dell’energia in Europa, passando da picchi estremi nell’estate 2022 a crolli con il calo della domanda e il riassestarsi del mercato. Francesco Starace (allora CEO di Enel) descrisse il triennio 2020-22 come “tre anni difficili, segnati prima dalle oscillazioni della domanda dovute alla pandemia e poi dalla volatilità dei prezzi innescata dalla guerra in Ucraina”. Questa volatilità ha complicato la gestione commerciale (acquisti e vendite di energia) e la pianificazione industriale, aumentando il rischio di errori nelle previsioni. Per fronteggiare situazioni simili, Enel adotta coperture di rischio sulle commodity e modelli di integrazione verticale (produzione + vendita al cliente finale) che dovrebbero attutire gli shock. Nel complesso, però, finché il conflitto continuerà, permarranno rischi di ulteriori strappi: ad esempio un’escalation militare o atti estremi potrebbero portare a un nuovo balzo dei prezzi di gas e petrolio, oppure a black swan come cyber-attacchi russi a infrastrutture energetiche in Europa. Enel deve quindi mantenere un approccio prudente, con piani di contingenza sia sul fronte procurement combustibili (es. contratti flessibili di fornitura) sia sul fronte finanziario (liquidità sufficiente a coprire richieste di margini, ecc.).
Un altro teatro critico è il Medio Oriente, da sempre area sensibile per il mercato petrolifero e più recentemente anche per il GNL. Le rinnovate tensioni tra Iran e Occidente, il conflitto latente in Siria, e più recentemente la guerra tra Israele e Hamas (ottobre 2023) creano il timore di interruzioni nelle rotte energetiche. Finora, nonostante momenti di escalation, il prezzo del petrolio ha reagito relativamente poco (indice che il mercato sconta una bassa probabilità di shock prolungati). Tuttavia, scenari peggiori non sono esclusi: un confronto diretto che coinvolgesse Iran (7° produttore mondiale di greggio) potrebbe portare alla chiusura dello Stretto di Hormuz, bloccando una fetta significativa di esportazioni di petrolio e GNL del Golfo. Anche senza giungere a tanto, nell’autunno 2023 si sono avuti attacchi a navi mercantili nell’area del Mar Rosso da parte di milizie (come gli Houthi in Yemen), nel contesto della crisi in Yemen e delle tensioni Iran-Israele. Secondo il Center for Strategic and International Studies, già entro metà 2024 i ribelli Houthi avevano attaccato “roughly 80 vessels in the Red Sea”, spingendo le compagnie a evitare quella rotta. Di fatto, “no LNG tankers have used the Red Sea route … since mid-January” 2024, tranne poche navi russe. Questo ha costretto le esportazioni di GNL dall’Egitto (e potenzialmente dall’Arabia Saudita in futuro) a circumnavigare l’Africa o usare il Canale di Suez solo scortate, con maggiori costi e tempi. Per Enel ciò significa possibili ritardi o rincari negli approvvigionamenti di GNL spot, qualora avesse carichi in viaggio su quelle rotte, oltre a una maggiore generale volatilità dei prezzi gas. Anche le forniture petrolifere globali (che influenzano il costo dei carburanti e quindi in parte l’inflazione energetica) restano esposte: in caso di conflitto più ampio in Medio Oriente, alcune previsioni stimano il Brent sopra i 100-120 $/barile. Dunque, pur non avendo Enel attività dirette in Medio Oriente, le crisi dell’area agiscono come fattore di rischio indiretto, da monitorare per le implicazioni su mercati energetici e vie di transito.
Sul piano delle grandi potenze, la rivalità USA-Cina rappresenta forse il maggiore fenomeno geopolitico strutturale del prossimo decennio. Questa competizione strategica si gioca anche sul terreno dell’energia e delle tecnologie pulite, dando luogo a dinamiche di decoupling commerciale e protezionismo tecnologico che possono influenzare Enel sia come acquirente di tecnologie sia come investitore internazionale. Negli ultimi anni si è assistito a una escalation di tariffe e controlli incrociati: gli Stati Uniti hanno imposto dazi e restrizioni su prodotti hi-tech cinesi (pannelli solari, batterie, componenti e in particolare semiconduttori avanzati), mentre la Cina ha reagito con restrizioni all’export di minerali critici (es. gallio e germanio, vitali per chip e fotonica). Nell’agosto 2022 Washington ha vietato l’esportazione in Cina di macchinari per produrre microchip all’avanguardia; a luglio 2023 Pechino ha controreplicato limitando appunto l’export di elementi chiave per semiconduttori e batterie. A sua volta, nel 2024 gli USA hanno annunciato dazi su veicoli elettrici e celle solari cinesi in risposta all’“eccesso di capacità” creato dall’industria di Pechino. Questa guerra commerciale delle tecnologie pulite rischia di avere effetti collaterali pesanti: “Escalating tariffs on clean technologies risks slowing down the clean energy transition at a critical time”, avverte il Carnegie Endowment. I dazi infatti aumentano i costi per i consumatori e rendono meno conveniente adottare tecnologie green, frenando la transizione. Per Enel, che acquista ingenti quantitativi di pannelli solari, turbine e batterie (spesso prodotti o assemblati in Cina), un regime di tariffe elevate significa maggior costo di capitale per i nuovi impianti rinnovabili. Già nel 2021 gli USA avevano imposto un embargo parziale su pannelli cinesi prodotti nello Xinjiang (per accuse di lavoro forzato), causando ritardi nelle forniture globali. Se queste barriere dovessero irrigidirsi ulteriormente – magari estendendosi all’Europa – Enel potrebbe trovarsi a dover riorganizzare radicalmente le proprie supply chain, cercando fornitori alternativi (indiani, americani, europei) a prezzi maggiori. Va detto che questa competizione ha anche effetti propulsivi: spinge ad esempio l’Europa e gli USA a investire nella propria capacità industriale (come visto con la fabbrica 3Sun di Enel in Italia e quella in Oklahoma, per “decolonizzare” la filiera dai monopoli asiatici). Tuttavia, nel breve termine aumenta l’incertezza e i costi.
Un ulteriore rischio estremo legato alle tensioni USA-Cina è lo scenario di una crisi su Taiwan. Taiwan è centrale nell’economia tech mondiale per via dei semiconduttori avanzati: oltre il 90% dei chip più sofisticati (<10 nm) del mondo è prodotto sull’isola, principalmente dalla TSMC. Un conflitto o blocco navale attorno a Taiwan fermerebbe immediatamente la produzione e spedizione di microchip, con conseguenze catastrofiche su scala globale: si stima che una guerra sino-americana su Taiwan potrebbe cancellare fino a 10 mila miliardi di dollari dal PIL mondiale, in buona parte a causa dello stop prolungato di componenti elettronici cruciali. Per l’industria energetica, ciò significherebbe impossibilità di reperire i semiconduttori necessari a qualunque apparecchiatura – dalle centraline degli impianti eolici ai convertitori delle reti HVDC, dagli inverter fotovoltaici ai contatori elettronici – paralizzando di fatto la realizzazione di nuovi progetti e la manutenzione di quelli esistenti. Anche senza arrivare al conflitto, la crescente assertività cinese verso Taiwan e le esercitazioni militari periodiche aumentano il rischio percepito e hanno già spinto vari paesi (USA, Giappone, UE) a piani di “friend-shoring” delle catene produttive per i semiconduttori, investendo in nuove fabbriche in patria o in paesi alleati. Enel, pur non coinvolta direttamente in tale settore, subirebbe indirettamente questi effetti e deve quindi auspicare – in linea generale – una stabilizzazione diplomatica tra Pechino e Washington. Nel frattempo può rafforzare le scorte di componenti critici e diversificare i fornitori di elettronica di potenza (es. rivolgendosi a produttori giapponesi, coreani o europei quando possibile).
Infine, le sanzioni economiche e commerciali sono divenute uno strumento geopolitico comune che può colpire improvvisamente mercati di interesse. Oltre al caso Russia, si pensi alle sanzioni all’Iran e Venezuela che hanno alterato i flussi petroliferi, o al blocco tecnologico verso Huawei/ZTE che ha implicazioni anche sulle infrastrutture di rete elettrica (Smart grid e 5G). Enel deve assicurarsi di rispettare sempre i regimi sanzionatori per evitare ripercussioni legali: ad esempio, ha dovuto interrompere qualsiasi interazione con entità russe sanzionate (anche in filiere lunghe). Potenziali future sanzioni verso la Cina – se le tensioni aumentassero – rappresentano un rischio latente ancora più grande, data la pervasività dei prodotti cinesi nel settore energetico (dai moduli FV alle batterie). Anche sanzioni finanziarie (es. esclusione dallo SWIFT di un paese) possono complicare operazioni in aree come il Medio Oriente o l’Africa. Al contrario, quando le sanzioni colpiscono paesi in cui Enel non è presente, possono aprirsi opportunità (ad esempio, l’uscita di player occidentali dalla Russia può lasciare spazio in altri mercati emergenti dove reindirizzano il focus). In generale, però, un clima di frammentazione geopolitica è sfavorevole per un’azienda globale come Enel, che prospera in un sistema aperto di scambio di tecnologie, capitali e know-how. Geoeconomia e investimenti: vale la pena notare che secondo un’analisi Bruegel, “a global economy with more trade disputes and greater risk of conflict endangers the massive capital investment needed for the transition”. Cioè, un mondo frammentato e conflittuale rende più difficile raccogliere i capitali e cooperare per la transizione energetica. Questo è un rischio sistemico per Enel: la decarbonizzazione richiede ingenti investimenti e fiducia nel lungo termine, che vengono messi in dubbio se prevalgono instabilità e protezionismi. Per mitigare questi rischi geopolitici, Enel può solo limitatamente influire: principalmente diversificando geograficamente il proprio portafoglio (per non essere esposta troppo a un singolo blocco/regione) e mantenendo solidi parametri finanziari per resistere a shock globali. In parallelo, supporta il multilateralismo (aderendo a iniziative internazionali sull’energia e il clima) e la diplomazia economica attraverso i canali governativi italiani ed europei.
Forniture di materie prime critiche
La transizione energetica in atto richiede enormi quantità di materie prime critiche – metalli e minerali – indispensabili per le tecnologie pulite. Enel, nel suo percorso di decarbonizzazione e digitalizzazione, dipende sempre più da componenti che contengono tali materiali: pensiamo al litio, cobalto e nichel nelle batterie dei sistemi di accumulo e dei veicoli elettrici; al rame per cavi e reti; alle terre rare come neodimio e disprosio nei magneti permanenti di turbine eoliche e generatori; al silicio di grado solare per i pannelli fotovoltaici; fino ai semiconduttori specializzati nelle apparecchiature di potenza. Queste catene di approvvigionamento presentano vari rischi: concentrazione geografica estrema, volatilità di prezzo, limiti di capacità estrattiva, rischi ESG e geopolitici nei paesi produttori.
Attualmente, la Cina domina la fornitura di molte materie prime critiche lungo la filiera. Analisi del Brookings Institution evidenziano come Pechino abbia “un vantaggio molto maggiore nelle capacità manifatturiere delle energie rinnovabili rispetto all’OPEC nel petrolio”. Ad esempio, la Cina produce oltre il 50% del litio e del nichel mondiali e circa il 70% del cobalto, tutti elementi essenziali per tecnologie green. Inoltre controlla larga parte della raffinazione globale: anche quando l’estrazione avviene altrove (come il cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, o il litio in Australia e Cile), spesso il minerale viene spedito in Cina per essere trasformato in materiali utilizzabili. Questa supremazia cinese lungo la filiera delle tecnologie pulite – che in passato era vista positivamente per i bassi costi – oggi desta preoccupazione in Occidente, soprattutto dopo che la Russia ha usato le esportazioni energetiche come arma geopolitica nel 2022. In altre parole, ci si è resi conto che un’eccessiva dipendenza dalla Cina per componenti e materiali critici costituisce un potenziale rischio strategico. Non a caso, il CEO di Enel ha spesso sottolineato la necessità di “regionalizzare” le catene di fornitura di pannelli e batterie per garantirne la sicurezza. La stessa UE, nella sua strategia sulle materie prime critiche, punta a diversificare fonti e aumentare la produzione domestica di alcuni di questi elementi.
Un rapporto dell’International Energy Agency offre un’istantanea dei rischi: oggi i progetti annunciati coprono solo il 50% del litio e il 70% del rame necessari al 2035 secondo gli scenari climatici. Ciò indica una probabile carenza se non si investe di più in nuove miniere e impianti di raffinazione. Inoltre, l’IEA evidenzia come la concentrazione geografica dell’offerta resti elevatissima. La Cina manterrà una posizione di predominio nella raffinazione di molti metalli anche negli scenari futuri. Alcuni minerali presentano squilibri eclatanti: per la grafite, utilizzata negli anodi delle batterie, l’IEA nota che “the available supply outside of the dominant player meets only 10% of the requirements in 2030”. In altre parole, al 2030 la Cina (il “dominant player”) sarà quasi monopolista della grafite lavorata, rendendo “highly challenging” qualsiasi obiettivo di diversificazione. Anche cobalto, terre rare e nichel mostrano “substantial geopolitical risks” legati alla concentrazione delle fonti in pochi paesi spesso politicamente instabili. Per esempio, oltre 70% del cobalto viene dal solo Congo RD (dove operano però aziende cinesi), mentre le terre rare provengono per il 60% dalla Cina e per gran parte del resto da Vietnam e Birmania. Queste concentrazioni implicano che eventi come instabilità interne, cambi normativi o restrizioni all’export in quei paesi possano creare shock di offerta improvvisi a livello globale. Un precedente storico è il blocco delle terre rare cinesi nel 2010 durante una disputa con il Giappone, che fece schizzare i prezzi alle stelle e spinse i produttori a cercare fonti alternative (con successo parziale, data la complessità di attivarle rapidamente).
Per Enel, tali rischi sulle materie prime si traducono in maggiore incertezza su costi e tempi dei progetti. Negli ultimi anni si è visto un boom dei prezzi di molti minerali: tra il 2020 e il 2022 l’IEA Critical Minerals Price Index è triplicato, con il litio a +700% in un momento di domanda esplosiva. Nel 2023 poi alcuni prezzi sono scesi (litio -75%, cobalto/nickel -30-45% dai picchi), il che ha ridato fiato agli acquirenti ma ha anche raffreddato gli investimenti minerari. L’IEA avverte infatti che il calo prezzi 2023 “ha costituito un vento contrario per i nuovi investimenti” nel settore, e che l’attuale apparente abbondanza potrebbe non durare. Se nei prossimi anni la domanda di batterie, pannelli e reti continuerà a crescere esponenzialmente, senza sufficienti nuove miniere si rischiano strozzature e impennate di prezzo attorno al 2030. Per un’utility, questo significa possibili ritardi nel reperire i materiali (dilazione dei commissioning di impianti) e aumento del capex necessario. Ad esempio, il raddoppio del costo del litio potrebbe far lievitare sensibilmente il costo di un sistema di accumulo containerizzato, incidendo sul business case dei progetti di rinnovabili con storage.
Un caso particolare è quello dei semiconduttori, già discusso nel contesto Taiwan: essi rientrano a pieno titolo tra le forniture critiche per la transizione digitale dell’energia. La crisi globale dei chip del 2021-2022 – originata da un mix di domanda post-Covid e colli di bottiglia produttivi – ha colpito anche il settore elettrico, ritardando la consegna di apparati di rete e colonnine di ricarica. Considerando che “more than 90% of the world’s most advanced chips are manufactured in Taiwan”, la sicurezza di approvvigionamento di questi componenti è fragile. Per questo UE e USA hanno varato piani (EU Chips Act, US CHIPS Act) per localizzare parte della produzione di chip avanzati sul proprio territorio, investendo decine di miliardi. Tali sforzi però daranno frutti tra anni e non azzereranno comunque la dipendenza asiatica. Enel non può che supportare indirettamente queste iniziative e, nel breve, lavorare su contratti quadro e scorte strategiche per i semiconduttori di potenza.
Per mitigare i rischi sulle materie prime critiche, Enel sta adottando diverse linee d’azione. Da un lato partnership e integrazione a monte: ad esempio, ha investito nell’espansione di 3Sun (la fabbrica di pannelli solari in Italia) proprio per ridurre la dipendenza dai fornitori asiatici di moduli, che spesso incorporano materiali critici cinesi. 3Sun a Catania diventerà il maggiore impianto di moduli d’Europa, aiutando a “ward off the risk of dependency on China” nella filiera fotovoltaica. Analogamente, Enel potrebbe in futuro valutare accordi per assicurarsi forniture di batterie da produttori locali (es. impianti di Gigafactory in Europa) o partecipare a consorzi per il riciclo dei metalli. Il riciclo è infatti una componente chiave per alleggerire la pressione sulla domanda primaria di minerali: l’IEA stima che un robusto riciclo al 2040 potrebbe ridurre del 25-40% il fabbisogno di nuova estrazione di litio, rame, nichel e cobalto. Enel già recupera e riutilizza materiali da vecchie infrastrutture (rame dai cavi dismessi, piombo dalle batterie ecc.) e può ampliare queste pratiche con l’economia circolare. Un altro fronte è l’innovazione tecnologica: investire in tecnologie alternative che usino meno materiali critici (ad esempio batterie al sodio, magneti eolici senza terre rare, cavi in alluminio al posto del rame dove possibile) per ridurre l’esposizione a singoli minerali. Infine, a livello di sistema, Enel partecipa ai dialoghi istituzionali sulla sicurezza delle forniture: l’IEA nel 2024 ha lanciato un programma volontario di sicurezza dei minerali critici con i governi, e forum come il G7 iniziano a trattare il tema come un’estensione della sicurezza energetica. L’obiettivo è promuovere catene di approvvigionamento resilienti e responsabili, diversificando le fonti (esplorando nuovi produttori in Africa, Australia, Americhe), migliorando gli standard ESG delle miniere (per evitare che rischi sociali/ambientali blocchino progetti) e creando magari scorte strategiche internazionali per alcuni metalli, sul modello delle riserve petrolifere. In definitiva, il rischio materie prime critiche è relativamente nuovo per le utility tradizionali, ma crescente con l’elettrificazione e la digitalizzazione: Enel lo sta integrando nella propria gestione rischi, consapevole che la sicurezza energetica del futuro passa anche per la sicurezza mineraria.
Competizione globale e transizione energetica
La transizione energetica verso fonti pulite e tecnologie a basse emissioni è divenuta non solo una necessità climatica, ma anche un terreno di competizione economica e strategica globale. Enel si confronta con competitor internazionali – utilities storiche, nuovi entranti, oil & gas in transizione, colossi cinesi – in una corsa agli investimenti in rinnovabili, reti intelligenti, batterie, idrogeno e altri nuovi vettori energetici. Allo stesso tempo, le politiche di reshoring industriale e gli ingenti piani di investimento pubblici stanno ridisegnando le catene produttive, offrendo opportunità a chi saprà coglierle e rischi a chi resterà indietro.
Strategie dei concorrenti internazionali: Enel è tra i leader mondiali nelle rinnovabili, ma non è sola. La spagnola Iberdrola, ad esempio, ha un piano di investimenti verde di oltre 47 miliardi € al 2025 ed è molto attiva in Europa e Americhe; la danese Ørsted domina l’eolico offshore globale; negli USA NextEra Energy è diventata la utility con maggiore capitalizzazione proprio puntando su eolico e solare. Inoltre, diversi giganti petroliferi stanno riconvertendosi: BP, Shell, TotalEnergies hanno annunciato target di capacità rinnovabile nell’ordine delle decine di GW e investimenti miliardari nell’idrogeno verde. Ciò significa maggiore concorrenza nelle aste per parchi eolici/solari e per l’acquisizione di terreni e connessioni, potenzialmente comprimendo i margini. Enel dovrà far valere la sua integrazione verticale (generazione-distribuzione-vendita) e presenza capillare per mantenere vantaggi competitivi. Anche le aziende cinesi rappresentano dei rivali formidabili: colossi come State Power Investment Corporation (SPIC) e China Energy hanno piani di espansione nelle rinnovabili superiori a 100 GW, e produttori cinesi offrono spesso finanziamenti agevolati per impianti all’estero (specialmente in Asia e Africa), mettendo pressione sui player occidentali. La competizione riguarda anche la leadership tecnologica: ad esempio, chi svilupperà per primo sistemi di accumulo più efficienti o parchi offshore floating su larga scala potrà assicurarsi quote di mercato. Enel investe in innovazione tramite il suo hub Enel X e varie partnership, ma deve monitorare da vicino i progressi altrui per non farsi sorpassare.
Reshoring industriale e supply chain: Come discusso, la spinta di USA ed Europa a riportare in patria produzioni critiche (pannelli solari, elettrolizzatori, semiconduttori) sta iniziando a trasformare le catene di approvvigionamento energetiche. Questo reshoring rappresenta un’opportunità per Enel di sviluppare internamente filiere più corte e sicure – come ha fatto con la gigafactory 3Sun in Sicilia e ora con la fabbrica gemella in Oklahoma. La nuova fabbrica USA da 3 GW/anno di moduli (3Sun USA) è uno dei più grandi investimenti industriali nel solare dopo l’IRA e punta a produrre celle e pannelli su larga scala domestica. Ciò consentirà a Enel di avere una fornitura garantita di moduli “local” per i propri progetti nordamericani, usufruendo anche di bonus fiscali (10% extra di ITC per progetti con componenti USA). Allo stesso tempo, in Europa Enel sta ampliando la capacità di 3Sun a 3 GW/anno, sostenuta da fondi UE (IPCEI) e dal Piano nazionale italiano. Questa scelta di integrazione a monte è parte della competizione globale: l’azienda che controlla la filiera può ridurre costi nel lungo termine e vendere anche a terzi, aprendo un nuovo ramo di business (es. Enel potrebbe diventare esportatore di pannelli verso altri operatori europei, rafforzando la propria posizione di mercato). D’altro canto, internalizzare la manifattura espone Enel a sfide tipiche dell’industria (rischi di esecuzione, rapidità nell’aggiornamento tecnologico in un settore – il solare – dove i cinesi innovano di continuo). È una scommessa strategica per assicurarsi indipendenza da fornitori esterni e potenzialmente per “dettare gli standard” qualitativi sul mercato europeo.
Investimenti in nuovi vettori: idrogeno e nucleare: Nel panorama globale della transizione, idrogeno e nucleare di nuova generazione sono due ambiti dove diversi paesi stanno cercando di primeggiare, e che presentano opportunità ma anche rischi competitivi per Enel. L’idrogeno verde (prodotto da rinnovabili) è considerato fondamentale per decarbonizzare settori difficili (industria pesante, trasporti navali e aerei). L’Europa punta a produrre e importare milioni di tonnellate di H₂ rinnovabile: la UE mira a importarne 10 milioni di tonnellate entro il 2030 secondo il piano REPowerEU. I paesi del Golfo e Nord Africa, dal canto loro, vogliono diventare hub globali di esportazione: ad esempio Arabia Saudita, Oman, Marocco, Emirati stanno investendo in mega-impianti solari+elettrolizzatori per produrre idrogeno (o ammoniaca verde) da vendere all’Europa. “Saudi Arabia, Oman, Egypt, Morocco, UAE are positioning themselves as green hydrogen hubs for exports feeding mainly into Europe” nota un’analisi di Mitsubishi Heavy Industries. La Germania ha già siglato accordi con Stati del Golfo per garantirsi forniture future di idrogeno. Questa corsa all’idrogeno potrebbe vedere emergere nuovi colossi energetici nell’area MENA, ridisegnando le mappe dei flussi energetici (dalla dipendenza dal gas russo a una dipendenza da idrogeno mediorientale?). Per Enel, che pure sta sperimentando progetti pilota di idrogeno verde (ad es. a Civitavecchia riconvertendo una centrale a carbone), il rischio è di rimanere indietro se non sviluppa competenze e capacità produttiva su H₂. I concorrenti – incluse utilities come RWE, Ørsted, Engie – stanno investendo in elettrolizzatori e catene del valore dell’idrogeno. Tuttavia, Enel ha il vantaggio di un vasto portafoglio rinnovabile (fonte dell’idrogeno verde) e potrebbe capitalizzarlo fornendo energia ai consorzi dell’idrogeno. La sfida sarà su costi: se paesi con risorse solari e eoliche super-economiche (Arabia Saudita, Australia) producono idrogeno a costi molto più bassi, l’idrogeno “Made in Enel” in Italia/Spagna potrebbe faticare a competere, a meno di incentivi o di focalizzarsi su usi locali. Quindi vi è un rischio di competizione internazionale sulle filiere dell’idrogeno, dove chi arriva primo e su grande scala ottiene contratti di fornitura di lungo termine. Enel dovrà valutare se entrare più decisamente (magari tramite joint venture) nel mercato dell’H₂ per non dipendere poi da terzi per i propri clienti industriali.
Sul fronte nucleare, la concorrenza assume una forma diversa: non si tratta tanto di competere per quote di mercato(Enel, operando in Italia dove il nucleare è vietato, non costruisce centrali nucleari), quanto di tener conto che alcuni paesi e concorrenti stanno puntando sul rinascimento del nucleare come pilastro energetico. La Cina è in testa: attualmente 25 dei 59 reattori nucleari in costruzione nel mondo sono in Cina, che mira a triplicare la sua capacità atomica entro il 2035. La Russia, tramite Rosatom, continua a costruire reattori all’estero (Turchia, Egitto, India) sebbene le sanzioni occidentali abbiano reso più difficili i finanziamenti. Gli Stati Uniti, pur non costruendo grandi reattori tradizionali domestici oltre Vogtle, stanno investendo molto nei reattori modulari piccoli (SMR), con aziende come NuScale e TerraPower che prevedono i primi esemplari in funzione nei prossimi anni. Paesi europei come Francia, Regno Unito, Svezia, Polonia hanno annunciato nuovi programmi nucleari o interesse negli SMR. Questo contesto implica che parte del mondo potrebbe imboccare una traiettoria energetica diversa da quella rinnovabili-centriche di Enel, con implicazioni sulla competizione: ad esempio, se il nucleare di nuova generazione decollasse e producesse elettricità a basso costo e programmabile, potrebbe ridurre la domanda di parchi rinnovabili o di servizi di flessibilità in alcuni mercati, impattando il modello di business di Enel focalizzato su rinnovabili + batterie. Al contrario, se i progetti nucleari fallissero o costassero troppo, la posizione di Enel come leader rinnovabile ne uscirebbe avvantaggiata. Enel monitora il settore (ha partecipato come minoranza in progetti nucleari in Spagna e Slovacchia in passato, e collabora in ricerca su fusione e SMR), ma al momento la strategia rimane escludere l’atomo dal proprio mix (puntando tutto su rinnovabili al 100% entro il 2040). Si tratta quindi di un rischio/opportunità strategico di lungo termine, più che di una concorrenza diretta oggi.
Impatto del reshoring e della transizione sulla concorrenza: La competizione globale si manifesta anche in termini di costi di produzione dell’energia e di disponibilità di componenti. Chi avrà filiere robuste e locali potrà evitare colli di bottiglia e beneficiare di costi inferiori. Ad esempio, grazie all’IRA, un produttore USA come NextEra può accedere a pannelli e batterie con crediti fiscali e minori dazi, riducendo i costi dei suoi parchi rispetto a un europeo. L’Europa rischia di diventare meno competitiva se non attua rapidamente misure simili: su questo Enel e altre utility europee fanno pressione affinché vi sia parità di condizioni. Un altro aspetto è la competizione per il capitale e la finanza: gli investimenti globali in energia pulita hanno raggiunto livelli record (oltre 1.000 miliardi $ nel 2022-23), ma il capitale si dirige dove il risk-adjusted return è più attraente. Se mercati come gli USA offrono incentivi stabili e meno rischio regolatorio, potrebbero attirare più investimenti (anche di Enel stessa) a scapito di Europa o altre regioni. Ciò potrebbe rallentare la transizione in regioni meno competitive. D’altro canto, economie emergenti come India o Brasile stanno creando proprie filiere (ad es. il Brasile produce già oltre il 50% dei suoi moduli FV localmente) che aumenteranno la competizione di prezzo. Enel dovrà dunque continuamente ottimizzare la propria allocazione di capitali a livello globale, scegliendo i mercati dove riesce a ottenere migliori risultati rischio/rendimento, in un panorama di incentivi in evoluzione.
In conclusione, sul fronte della competizione globale nella transizione energetica, Enel si trova a giocare una partita su più tavoli: industriale, tecnologico e geopolitico. Le sue mosse – concentrare investimenti nei mercati core, integrarsi a monte in settori chiave, spingere sulle rinnovabili e servizi innovativi – indicano la volontà di posizionarsi tra i vincitori della transizione. Allo stesso tempo, deve guardarsi dalla concorrenza crescente e dalle mosse delle grandi potenze: come evidenziato, il successo della transizione non dipende solo da chi costruisce più impianti, ma anche da quanto velocemente il mondo riesce a ridurre le emissioni. Enel, con il suo target di Zero Emissioni al 2040, è impegnata su questo fronte, ma dovrà mantenere agilità e capacità di anticipare trend. In un’epoca in cui energia e geopolitica sono sempre più intrecciate, la capacità di un’azienda come Enel di prosperare risiederà nell’essere flessibile, diversificata e innovativa, collaborando con governi e partner internazionali ma anche reagendo prontamente ai cambiamenti del contesto mondiale. In definitiva, la gestione dei rischi geopolitici, geoeconomici e strategici diventa parte integrante della strategia industriale di Enel, tanto quanto lo è la gestione dei rischi finanziari o operativi – una sfida complessa ma necessaria per assicurare forniture energetiche affidabili, sostenibili e convenienti in ogni scenario futuro.
Rischio geopolitico di Enel nei paesi di operatività e forniture strategiche
Stabilità politica dei paesi di operatività (stato di diritto)
Enel opera in 28 paesi distribuiti in Europa, Americhe, Africa e Asia. La stabilità politica e la solidità dello stato di diritto in queste nazioni variano sensibilmente. Nei mercati principali di Enel – come Italia, Spagna e Stati Uniti – prevalgono democrazie consolidate con istituzioni robuste e un alto rispetto dello stato di diritto. Ad esempio, indici internazionali sul rule of law mostrano punteggi elevati per Spagna (~0,70) e Italia (~0,67) su una scala 0-1, riflettendo un contesto legale stabile e prevedibile. Ciò implica basso rischio di espropriazioni o violazioni contrattuali in questi paesi. Anche mercati OCSE come gli USA presentano elevata stabilità politica e garanzie legali molto forti, con rischio politico minimo per gli investimenti.
Invece, nei paesi emergenti dove Enel è presente, la stabilità politica è più incerta. In diverse economie dell’America Latina – ad esempio Brasile, Colombia, Argentina, Perù, Messico – si riscontrano governi relativamente stabili ma istituzioni meno solide, con maggior rischio di instabilità o mutamenti politici improvvisi. I punteggi di rule of law sono significativamente inferiori (Brasile ~0,49; Messico ~0,42) rispetto all’Europa, segnalando problemi di corruzione, burocrazia o sicurezza interna. Ad esempio, l’Argentina ha sofferto crisi economiche e cambi di governo frequenti, influendo negativamente sul contesto operativo (tanto che Enel ha deciso di uscirne). Colombia e Perù hanno vissuto proteste e tensioni politiche negli ultimi anni, riflettendo uno stato di diritto più debole e potenziali rischi per gli operatori esteri. Tuttavia, vi sono eccezioni positive in Latam: il Cile storicamente vanta istituzioni relativamente forti (indice ~0,66, quasi al livello italiano) e un ambiente favorevole al business, pur avendo attraversato di recente fasi di riforma costituzionale e proteste sociali.
In sintesi, Enel beneficia di operare in molti paesi a basso rischio politico(UE, Nord America), ma mantiene esposizione in nazioni con stabilità politica moderata o bassa in Sud America. Il rispetto dello stato di diritto è generalmente alto nei paesi OCSE (riducendo il rischio di decisioni arbitrarie), mentre in alcune economie emergenti Enel deve gestire possibili vulnerabilità legali e istituzionali. La diversificazione su mercati con profili politici differenti aiuta comunque a bilanciare il rischio complessivo: contesti più rischiosi sono compensati dalla forte presenza in paesi stabili.
Valutazione qualitativa e quantitativa del rischio per paese
Per ogni paese chiave si può valutare il rischio geopolitico di Enel considerando stabilità politica, grado di diversificazione geografica del portafoglio, concentrazione dell’esposizione e correlazione con altri fornitori/mercati. Di seguito una sintesi qualitativa con punteggi indicativi (da 1 = basso rischio a 10 = alto rischio).
Italia – Stabilità politica: Alta (punteggio 2/10). L’Italia è una democrazia matura nell’UE, con basso rischio di shock politici maggiori. Rischio regolatorio: Moderato (4/10) – sebbene stabile, in passato sono stati introdotti interventi come tetti ai prezzi o contributi straordinari sugli utili energetici. Concentrazione del rischio: Moderata – l’Italia rappresenta una quota importante dell’EBITDA di Enel (clienti e rete domestica), quindi eventi in Italia hanno impatto significativo. Positivamente, l’Italia garantisce stato di diritto e capacità di far valere i contratti. Rischio complessivo: Basso.
Spagna – Stabilità: Alta (2/10). Contesto politico stabile e prevedibile (indice rule of law 0,73). Rischio regolatorio: Moderato (4/10) – il governo ha imposto di recente un contributo temporaneo sugli extra-profitti delle utility, evidenziando potenziali variazioni normative. Concentrazione: Enel (tramite Endesa) ha larga presenza in Spagna, ma il mercato spagnolo è maturo e integrato nell’UE. Rischio complessivo: Basso.
Stati Uniti – Stabilità: Altissima (1/10). Ordinamento politico stabile, rischi geopolitici interni trascurabili. Rischio di mercato: Basso – mercato energetico concorrenziale con forte tutela investimenti. Concentrazione: Enel ha presenza in rinnovabili e servizi, ma ancora quota relativamente piccola del totale – quindi contribuisce alla diversificazione geografica. Rischio: Molto basso.
Brasile – Stabilità: Medio-alta (5/10). Democrazia grande ma con governance talvolta fragile (rule of law ~0,49). Alternanza politica (recenti governi di orientamento opposto) può portare cambi normativi. Rischio regolatorio/di mercato: Moderato (5/10) – il settore elettrico brasiliano è in parte regolato a livello statale, con rischio di interventi sui prezzi o ritardi tariffari in caso di pressione politica. Rischi macro (inflazione, cambio) non trascurabili. Concentrazione: Enel ha investito in distribuzione (es. reti a Rio, São Paulo) e generazione, il Brasile è uno dei suoi mercati core. Ciò comporta esposizione significativa: shock economici o politici brasiliani influirebbero sugli utili di Enel Americas. Rischio: Medio.
Cile – Stabilità: Alta per la regione (3/10). Tradizione di stabilità istituzionale e politiche di libero mercato; qualche incertezza recente per il processo costituente, ma contesto ancora favorevole agli investimenti. Rischio regolatorio: Moderato-basso (3/10) – il governo punta ad aumentare il controllo statale nel litio e alcuni settori, ma nel settore elettrico mantiene regole di mercato. Concentrazione: Enel è il principale operatore elettrico in Cile (generazione rinnovabile e distribuzione a Santiago), quindi performance e politiche cilene incidono sui risultati del Gruppo. Rischio: Basso-moderato.
Colombia – Stabilità: Moderata (6/10). Democrazia con istituzioni discrete ma sfide di sicurezza interna (ex conflitto FARC) e recente svolta politica a sinistra. Rischio regolatorio: Moderato (5/10) – il nuovo governo potrebbe riformare il settore energetico (es. maggiore intervento statale o promozione rinnovabili) creando incertezza per gli operatori privati. Concentrazione: Enel gestisce reti elettriche (Bogotá) e impianti nel Paese; la Colombia è uno dei suoi mercati core in America Latina. Rischi macro (tasso di cambio COP) e di ordine pubblico possono correlarsi con altri paesi vicini. Rischio: Medio-alto.
Messico – Stabilità: Discreta (5/10). Anche se il Messico è una democrazia, vi è una tendenza nazionalista in politica energetica. Rischio regolatorio: Alto (7/10) – il governo attuale ha favorito la compagnia elettrica statale CFE, penalizzando produttori privati (ritardi nel connettere impianti rinnovabili, cambi normativi sfavorevoli). Ciò aumenta il rischio operativo per Enel Green Power in Messico. Concentrazione: la quota di Enel in Messico è limitata, mitigando l’impatto di eventuali sviluppi negativi. Rischio: Medio.
(N.B.: Altri paesi minori in portafoglio Enel seguono trend simili per area: in Europa dell’Est Enel ha ceduto asset in contesti a rischio regolatorio più alto come Romania; in Africa e Asia la presenza è ridotta, concentrata su rinnovabili in paesi relativamente stabili come Sudafrica o India, comportando rischio circoscritto.)
Diversificazione geografica: Globalmente, Enel ha migliorato la diversificazione concentrandosi su sei mercati core – Italia, Spagna, USA, Brasile, Cile, Colombia – e uscendo da mercati più piccoli e instabili. Ciò riduce la frammentazione geografica ma focalizza il business su regioni chiave. Il portafoglio rimane bilanciato tra economie mature (Europa/Nord America, ~50% EBITDA) e Paesi emergenti (Latam, ~50%). Questa diversificazione attenua il rischio di concentrazione: difficilmente un singolo paese (eccetto l’Italia) domina i risultati di Enel. Ad esempio, nessun paese contribuisce da solo a oltre ~30% dell’EBITDA. Al contempo, la concentrazione regionale in America Latina espone Enel a rischi sistemici comuni (ad es. shock economici globali che colpiscono simultaneamente più valute emergenti). Nel complesso, i punteggi di rischio geopolitico risultano bassi per i mercati OCSE, moderati per gran parte dell’America Latina, e elevati solo per paesi da cui Enel sta disimpegnandosi (es. Argentina, rischio storico molto alto per instabilità economica e interventismo).
Analisi dei rischi primari per Enel
Nel panorama geopolitico attuale, Enel fronteggia alcuni rischi primari che possono perturbare le sue attività o catene di fornitura.
Instabilità politica nei paesi fornitori: molti input strategici di Enel (gas, combustibili, minerali critici) provengono da paesi potenzialmente instabili. Ad esempio, l’Algeria è divenuta il primo fornitore di gas per l’Italia dopo il 2022, ma rimane un regime autoritario con possibili tensioni interne; una crisi politica algerina potrebbe minare la sicurezza dei flussi gas. Analogamente, la Libia – altra fonte di gas via gasdotto per Enel/Italia – è altamente instabile: conflitti tra fazioni nel paese hanno già in passato ridotto la produzione. Per i materiali critici delle rinnovabili, molti fornitori chiave si trovano in nazioni a governance fragile: es. ~70% del cobalto mondiale proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, paese affetto da conflitti e instabilità cronica; qualsiasi escalation lì potrebbe interrompere forniture essenziali di cobalto per batterie. Enel è vulnerabile a questi rischi upstream: un colpo di stato, disordini civili o crisi economica in un paese fornitore strategico possono improvvisamente bloccare l’export di materie prime vitali.
Conflitti regionali: guerre e tensioni armate possono avere effetti severi sia sui mercati energetici sia sugli asset di Enel. L’invasione russa dell’Ucraina (2022) ne è un esempio lampante: ha tagliato le forniture di gas russo all’Europa, esponendo l’eccessiva dipendenza da un singolo fornitore e innescando una crisi energetica senza precedenti. Prima della guerra, la Russia copriva oltre il 40% delle importazioni gas UE; nel 2023 tale quota è crollata sotto l’8%, ma al prezzo di forti rincari e corse a forniture alternative. Enel, operando in Italia, ha risentito dell’impennata prezzi gas ed elettricità nel 2022 derivante da questo shock geopolitico. In prospettiva, altri conflitti potrebbero colpire l’azienda: ad esempio, eventuali tensioni nel Medio Oriente (Golfo Persico) rischiano di perturbare le rotte dell’LNG e del petrolio via Hormuz, con impatto sui costi di generazione e approvvigionamento. Oppure, uno scontro nel Mar Cinese Meridionale potrebbe ostacolare il traffico marittimo dall’Asia, da cui provengono componenti fondamentali (pannelli solari, batterie). Anche senza coinvolgere direttamente i paesi di operatività di Enel, conflitti regionali possono scatenare effetti domino globali sui mercati di energia e materie prime.
Sanzioni internazionali: le misure restrittive imposte dalla comunità internazionale rappresentano un altro rischio primario. Sanzioni a carico di paesi fornitori o partner possono interrompere contratti e flussi commerciali in breve tempo. Il caso della Russia è esemplare: le sanzioni UE-USA nel 2022-24 hanno bandito o limitato l’import di carbone, petrolio e (indirettamente) gas russo, obbligando aziende come Enel a ripensare in fretta la supply chain. In futuro, potrebbero emergere sanzioni contro altri attori strategici: ad esempio restrizioni occidentali all’export di tecnologie cinesi o viceversa limitazioni cinesi all’export di minerali (Pechino ha già minacciato controlli sull’export di terre rare e batterie). Tali misure di ritorsione geopolitica creerebbero rischio di mercato per Enel, incidendo sulla disponibilità di componenti (si pensi a un bando sulle celle fotovoltaiche cinesi, da cui l’Europa importa il 96% dei moduli solari). Enel deve dunque monitorare costantemente l’evoluzione di sanzioni e trade war, che possono alterare improvvisamente condizioni operative un tempo date per scontate.
Rischi strategici e militari
Alcuni rischi geopolitici hanno natura strategico-militare, andando oltre l’ambito economico e richiedendo un’attenzione specifica.
Sicurezza delle infrastrutture critiche: le reti e installazioni energetiche di Enel (centrali, linee elettriche, gasdotti, impianti rinnovabili) possono divenire bersaglio di atti ostili. In contesti instabili esiste il pericolo di sabotaggi fisici o attacchi terroristici contro infrastrutture energetiche, con lo scopo di creare disagi economici o pressione politica. Un evento emblematico è stato il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico (settembre 2022), fatti esplodere intenzionalmente, interrompendo una via di approvvigionamento europea e aumentando le tensioni geopolitiche. Questo episodio ha allertato l’UE e la NATO sulla vulnerabilità delle condotte sottomarine: nel 2024 l’Alleanza ha lanciato iniziative per rafforzare il monitoraggio e la difesa di cavi e pipeline strategiche. Enel, pur non direttamente coinvolta nel Nord Stream, ha infrastrutture potenzialmente esposte – si pensi ai gasdotti che dall’Algeria e dall’Azerbaigian portano gas in Italia, o ai cavi sottomarini per collegare impianti offshore. Qualsiasi danneggiamento deliberato potrebbe causare blackout, fermo degli impianti o costi straordinari. Oltre agli attacchi fisici, rientra in questo ambito la minaccia cybernetica: gli attacchi informatici sponsorizzati da stati ostili sono considerati “la nuova arma geopolitica” contro le infrastrutture critiche. Report recenti indicano centinaia di milioni di tentativi di cyber-attacco a impianti energetici globali tra 2023 e 2024, spesso attribuiti a hacker di stati come Cina, Russia e Iran. Per Enel il rischio operativo di un cyber-attacco riuscito è significativo: un malware sulla rete di distribuzione o su sistemi di controllo delle centrali potrebbe interrompere il servizio a milioni di utenti. Dunque, la resilienza fisica e digitaledelle infrastrutture di Enel è una priorità data la crescente ostilità geopolitica sul fronte delle infrastrutture.
Controllo delle rotte marittime e terrestri. Enel dipende da complesse catene logistiche globali per combustibili e componenti. Le rotte di approvvigionamento – sia via terra (oleodotti, gasdotti, vie ferroviarie) sia via mare (navi LNG, cargo di carbone o materiali) – attraversano spesso snodi strategici soggetti a rischio geopolitico. Ad esempio, una parte del GNL destinato all’Italia transita per il Canale di Suez: un blocco prolungato di questa via (come avvenuto per 6 giorni nel 2021 con la portacontainer Ever Given) può interrompere forniture critiche e far lievitare i prezzi. Analogamente, lo Stretto di Hormuz in Medio Oriente convoglia un terzo del GNL mondiale e gran parte del petrolio: crisi militari in quell’area (con chiusura dello stretto) avrebbero impatto immediato sull’energia in Europa, costringendo a cercare rotte alternative più lunghe e costose. Enel deve considerare anche le vie terrestri: il gasdotto Transmed dall’Algeria passa per la Tunisia – paese in fragile transizione politica – e potrebbe risentire di instabilità locali; il TAP dall’Azerbaigian attraversa Turchia e Balcani, regioni dove tensioni geopolitiche (es. crisi caucasiche, instabilità in Medio Oriente) potrebbero compromettere la sicurezza della tratta. Un’altra rotta terrestre sensibile è quella dei trasporti su gomma/ferrovia di componenti strategici (trasformatori, turbine, materiali) attraverso confini potenzialmente a rischio (si pensi al confine USA-Messico per componenti rinnovabili, o alle frontiere UE-Turchia per merci dall’Asia). Il controllo e la protezione di queste rotte è quindi fondamentale: la competizione geopolitica può manifestarsi nel tentativo di chiudere o influenzare choke points (punti di strozzatura) commerciali. Ad esempio, potenze come la Cina hanno investito nella Belt and Road Initiative proprio per assicurarsi corridoi logistici alternativi sotto la propria influenza – dinamica che Enel deve seguire, poiché il riallineamento di rotte commerciali potrebbe influire sui propri flussi di materiali. In sintesi, choke point marittimi e terrestri rappresentano vulnerabilità: la loro sicurezza (militare e politica) è un fattore geopolitico chiave per l’operatività di Enel.
Competizione per le risorse: la corsa globale a petrolio, gas e minerali critici genera tensioni strategiche che possono ripercuotersi su Enel. Man mano che la transizione energetica avanza, materiali come litio, nichel, rame, terre rare sono diventati il nuovo oggetto di competizione internazionale. Alcuni paesi stanno adottando strategie assertive per massimizzare il valore delle proprie risorse – spesso denominate resource nationalism. Ad esempio, Indonesia ha vietato l’export di minerale di nichel grezzo per sviluppare una filiera interna, riducendo l’offerta internazionale; Cile, Bolivia e Argentina (che formano il “triangolo del litio”) discutono la creazione di una sorta di cartello del litio sul modello OPEC per coordinare politiche estrattive e prezzi. Tali mosse indicano che in futuro l’accesso a risorse per batterie e rinnovabili potrebbe essere soggetto a quote, dazi o accordi tra paesi produttori, con implicazioni sui costi per Enel. Anche le grandi potenze competono: Cina ha investito massicciamente per controllare catene del valore di minerali strategici in Africa e America Latina, mentre USA ed UE cercano accordi di fornitura privilegiati (“friend-shoring”) con partner affidabili. Questa competizione geopolitica per le risorse può tradursi in volatilità di mercato(oscillazioni di prezzo improvvise al variare di alleanze o rivalità) e in possibili esclusioni di alcuni attori dall’accesso a certi materiali. Enel, in quanto utilizzatore finale di queste commodities, subisce indirettamente tali dinamiche: ad esempio, un accordo privilegiato USA-Cile sul litio potrebbe lasciare minori volumi disponibili per aziende europee, o al contrario una restrizione cinese sull’export di batterie avanzate potrebbe rallentare i piani di installazione di storage. In definitiva, la geopolitica delle risorse naturali rappresenta un rischio strategico di fondo, di cui Enel deve tenere conto nelle sue strategie di approvvigionamento a lungo termine.
Correlazione e diversificazione dei rischi
Quando si valutano i rischi geopolitici, è cruciale capire quanto essi siano correlati tra loro e il grado di diversificazione delle esposizioni di Enel. Possiamo distinguere vari casi.
Alta correlazione tra fornitori: se diverse fonti di approvvigionamento dipendono da fattori geopolitici simili, un singolo evento può colpirle tutte insieme. Ad esempio, prima del 2022 le forniture di gas all’Italia provenivano in gran parte da paesi con profili affini (Russia, Algeria): uno shock geopolitico come una guerra o sanzioni ha infatti colpito simultaneamente gran parte del gas importato. Un altro caso di correlazione elevata è nella filiera delle rinnovabili: l’80%+ della produzione globale di pannelli solari avviene in Cina, così come gran parte della manifattura di batterie (oltre il 75% delle celle al litio). Ciò significa che rischi geopolitici legati alla Cina (tensioni commerciali, sanzioni incrociate, instabilità nella regione asiatica) sono altamente correlati: qualsiasi deterioramento dei rapporti con Pechino avrebbe un impatto contemporaneo su pannelli, batterie e altri componenti strategici, data l’attuale concentrazione produttiva. Enel quindi si trova con forniture chiave (solare, storage) fortemente interdipendenti dal medesimo fattore geopolitico (la relazione Occidente-Cina).
Correlazione moderata: in alcuni casi i rischi sono parzialmente correlati. Ad esempio, l’approvvigionamento gas dell’Italia oggi è più diversificato (Algeria, Azerbaijan, LNG da vari paesi) rispetto al passato, ma questi fornitori condividono comunque alcuni rischi comuni (ad es. dipendenza dalla stabilità del Nord Africa e del Mediterraneo allargato). Un conflitto regionale in Nord Africa potrebbe contemporaneamente compromettere flussi dall’Algeria (per instabilità interna) e dall’Azerbaigian via Turchia (per coinvolgimento di attori mediorientali), pur essendo fonti diverse. Oppure, diversi paesi Latam dove Enel opera – Brasile, Cile, Colombia – pur avendo proprie dinamiche presentano correlazione macroeconomica: uno shock globale (es. aumento tassi USA o caduta prezzi materie prime) tende a colpire tutte le valute latinoamericane insieme, generando effetti domino sui risultati in quei mercati. La moderata correlazione implica che c’è qualche beneficio dalla diversificazione, ma non totale indipendenza: eventi geopolitici di ampia portata possono comunque propagarsi su più fronti.
Bassa diversificazione geografica / omogeneità dei rischi: se gli assets e i fornitori fossero poco diversificati e concentrato in aree con rischi simili, Enel sarebbe esposta a shock simultanei. Per fortuna, Enel ha mitigato questo: come visto, bilancia presenza in Europa (rischi politici omogenei e bassi) con presenza in Latam (rischi più alti, ma geograficamente lontani e non perfettamente correlati ai primi). Il rischio di omogeneità politica è ridotto – Enel non opera solo in paesi autoritari o solo in economie emergenti, ma ha un mix. Questa diversificazione fornisce una sorta di hedging: i rischi elevati di alcune aree (es. instabilità Andina) difficilmente si materializzeranno in parallelo ai rischi di altre (es. instabilità UE), perché appartenenti a sistemi geopolitici differenti. D’altro canto, rimangono ambiti dove la diversificazione è ancora limitata: ad esempio, filiera batterie e terre rare – dominata da Cina e pochi altri paesi – rappresenta un rischio concentrato e omogeneo dal punto di vista politico (filiera fortemente dipendente da contesto politico cinese). In tali ambiti Enel è esposta a un rischio di concentrazione geografica e politica che richiede contromisure (come trovare fornitori alternativi o sostenere politiche di filiera europea).
In generale, una bassa correlazione tra rischi è auspicabile: significa che problemi in un’area non affliggono automaticamente altre parti del business. Enel cerca di ottenere questo investendo in regioni e fornitori eterogenei. Ad esempio, l’uscita da Argentina e Perù – dove i rischi erano in parte simili ad altri contesti Latam – riduce una potenziale omogeneità nel portafoglio, focalizzando su paesi Latam relativamente più stabili (Brasile, Cile, Colombia) e su mercati OCSE. Tuttavia, alcune correlazioni sistemiche restano inevitabili: ad esempio, trend globali come inflazione e tassi di interesse in aumento hanno effetti negativi sia in Europa sia in America Latina (anche se con intensità diverse), così come il clima geopolitico generale (maggiore frammentazione Est-Ovest) crea un contesto più rischioso trasversalmente. Enel deve quindi pianificare su più scenari per assicurare che un singolo evento non inneschi un effetto domino (rischio di correlazione) in grado di mettere in crisi l’intero gruppo.
Tipologie di rischio geopolitico considerate
Nell’analizzare la posizione di Enel, vanno distinte diverse tipologie di rischio geopolitico, ciascuna con caratteristiche e impatti specifici.
Rischio sistemico: riguarda trasformazioni geopolitiche globali e di lungo periodo che possono alterare il contesto operativo generale. Per Enel, rientrano qui fenomeni come la crescente frammentazione geopolitica mondiale – un mondo sempre più diviso in blocchi sta “creando grandi rischi per la sicurezza energetica” secondo l’IEA – oppure la transizione energetica globale stessa, che ridisegna le mappe di potere (riducendo l’influenza di alcuni petrostati ma aumentando la centralità di chi controlla minerali per rinnovabili). Un altro rischio sistemico è il cambiamento climatico che può innescare instabilità geopolitiche (migrazioni, conflitti per risorse idriche) e al contempo impone evoluzioni regolatorie rapide. Questi rischi sono detti sistemici perché colpiscono tutti gli attori e sono difficili da eludere con la diversificazione: Enel può mitigare solo con strategie di resilienza e adattamento, sapendo che l’intero settore energetico è coinvolto.
Rischio specifico: è il rischio legato a singoli fornitori, rotte o mercati. Ha natura più idiosincratica e isolata. Ad esempio, la vulnerabilità di un singolo fornitore di gas (come poteva essere Gazprom per l’Italia) o di un singolo supplier di batterie rappresenta un rischio specifico: se quel nodo si interrompe per qualsiasi ragione (politica, tecnica), Enel subisce un impatto diretto. Analogamente, l’instabilità di un determinato paese in cui Enel ha investimenti – es. un colpo di stato in un paese africano dove Enel Green Power gestisce un parco solare – costituisce rischio specifico localizzato. Questi rischi possono essere elevati in valore assoluto ma circoscritti: l’evento colpisce un elemento della catena o un’area, senza necessariamente propagarsi altrove (a meno di correlazioni, vedi sopra). Mitigarli significa spesso evitare eccessiva dipendenza da un solo controparte: infatti Enel applica strategie di procurement multi-fornitore e mantiene un portafoglio ampio di Paesi proprio per limitare l’esposizione specifica.
Rischio di mercato: attiene alle condizioni economiche influenzate da relazioni internazionali e geopolitica. Include per esempio la volatilità dei prezzi energetici causata da decisioni geopolitiche (tagli OPEC, sanzioni, guerre). Enel, essendo sia produttore che acquirente di energia, è esposta a shock di prezzo: l’aumento record del costo del gas nel 2022 per la crisi Ucraina ha compresso i margini di generazione termoelettrica ma aumentato quelli sulle rinnovabili e trading. Rischio di mercato è anche l’andamento dei tassi di cambio e d’interesse legato al rischio paese: ad esempio, tensioni politiche possono far deprezzare valute locali (real brasiliano, peso) rispetto all’euro, intaccando i ricavi di Enel in quei paesi una volta convertiti. Inoltre, conflitti commerciali e dazi impattano sui costi: si pensi ai dazi USA sui moduli cinesi o alle tariffe UE su acciaio russo – tutte misure geopolitiche che alterano i prezzi di mercato con cui Enel acquista beni. Il rischio di mercato dunque si manifesta attraverso parametri finanziari (prezzi, cambi, tassi) volatili per cause geopolitiche. Enel deve gestirlo con coperture (hedging finanziari, contratti a lungo termine) e con agilità nel trasferire eventualmente i costi a valle, quando possibile.
Rischio operativo: riguarda la vulnerabilità delle operazioni aziendali a eventi geopolitici, come attacchi o disservizi. Abbiamo già menzionato il rischio di cyber-attacchi statali: essi rientrano pienamente nel rischio operativo geopolitico, poiché ad esempio gruppi hacker affiliati a governi possono colpire la rete di Enel per ragioni strategiche. Un rapporto 2024 evidenzia che gli attacchi a infrastrutture critiche (energia, trasporti, comunicazioni) sono in forte aumento e vengono usati come “arma geopolitica” dai governi ostili. Enel ha già affrontato in passato attacchi ransomware; in futuro potrebbe fronteggiare minacce ancora più sofisticate mirate a interrompere l’erogazione di elettricità. Un altro aspetto operativo è la sicurezza del personale e degli impianti in aree di instabilità: ad esempio, in caso di disordini civili (si ricordino le proteste violente in Cile nel 2019) o conflitti, Enel potrebbe dover fermare impianti per proteggere i dipendenti. Il rischio operativo comprende anche difficoltà logistiche causate da crisi geopolitiche – come la scarsità di navi o container durante la pandemia/COVID (evento sanitario con effetti geopolitici) che ha rallentato la consegna di turbine eoliche e parti di ricambio a livello globale. Tutto ciò incide sulla continuità e sui costi operativi dell’azienda.
Rischio di liquidità: in contesto geopolitico, questo si traduce nella capacità di Enel di reagire e riorientare la propria esposizione finanziaria in caso di crisi. Ad esempio, se un paese diventa improvvisamente ostile o soggetto a sanzioni, Enel deve poter disinvestire rapidamente o svalutare asset senza compromettere l’equilibrio finanziario. Un caso reale è stata l’uscita forzata dalla Russia: Enel nel 2022 ha venduto in fretta la controllata russa (centrali gas) a causa della guerra/sanzioni, subendo perdite ma liberandosi di un rischio non più gestibile. La facilità con cui l’azienda può liquidare investimenti in aree critiche o rinegoziare contratti di fornitura è cruciale. Rischio di liquidità è presente anche quando i controlli valutari o normativi bloccano risorse: ad esempio in Argentina le restrizioni valutarie hanno spesso impedito la rimessa dei dividendi all’estero, congelando liquidità per operatori stranieri. Enel deve quindi valutare quanto i capitali impiegati in certi paesi siano “liquidi” in caso di necessità. A livello di forniture, la liquidità si traduce in flessibilità di approvvigionamento: ad esempio la capacità di sostituire in tempi rapidi un fornitore geopoliticamente a rischio con un altro (come l’Europa ha fatto aumentando l’import LNG via nave in pochi mesi per compensare il gas russo). In sintesi, più un portafoglio è rigido e poco liquidabile, maggiore è il rischio in caso di shock geopolitici improvvisi.
Rischio di concentrazione: deriva dall’eccessiva esposizione verso una specifica area geografica, controparte o rotta. Enel storicamente ne ha sofferto quando, ad esempio, l’Italia dipendeva pesantemente da un singolo fornitore di gas (Russia al 40%): questa concentrazione ha creato una vulnerabilità grave, poi esplosa nel 2022. Allo stesso modo, avere troppi investimenti in un solo paese instabile significa mettere “troppe uova nello stesso paniere”. Enel ha riconosciuto questo rischio e negli ultimi anni ha attuato una ridistribuzione geografica: ha ridotto la concentrazione in mercati considerati problematici (vendendo asset in Romania, Russia, Argentina, Perù) e puntato su un mix di paesi diversificati. Ciò ha abbassato il rischio di concentrazione. Rimangono però alcune concentrazioni inevitabili: ad esempio, oltre il 60% della capacità rinnovabile di Enel è installata nelle Americhe e in particolare in poche nazioni (Brasile, Cile, USA) – un grosso evento geopolitico nel continente americano (per quanto improbabile su scala continentale) avrebbe impatto su larga parte del business green di Enel. Anche sul lato forniture, alcune concentrazioni persistono: es. quasi tutti i magneti per turbine eoliche contengono terre rare raffinate quasi esclusivamente in Cina, configurando una concentrazione di fatto. Il rischio di concentrazione dunque richiede continuo monitoraggio e, dove possibile, strategie di diversificazione o scorte di sicurezza.
Rischio di correlazione: collegato al precedente, rappresenta il pericolo che diversi rischi si manifestino insieme a causa di un nesso comune. Può trattarsi di effetti domino tra rischi geopolitici. Un esempio: la guerra in Ucraina ha innescato non solo un rischio di conflitto regionale ma anche rischi secondari correlati – sanzioni economiche, crisi energetica, inflazione mondiale, instabilità politica interna in vari paesi a causa del caro-energia. Questo è un caso di rischi concatenati: uno scenario geopolitico ha attivato una cascata di problematiche (conflitto → sanzioni → shock prezzi gas → rischio sociale in Europa, ecc.). Per Enel ciò ha significato affrontare contemporaneamente problemi diversi ma originati dallo stesso evento: forniture di gas tagliate, prezzi volatili, nuove regolamentazioni d’emergenza (tetti ai prezzi) e pressione politica per accelerare le rinnovabili. Il rischio di correlazione implica che la diversificazione potrebbe non bastare se i rischi sono interdipendenti. Ad esempio, un deterioramento delle relazioni Cina-Occidente potrebbe contemporaneamente: colpire la supply chain (sanzioni/incertezze su pannelli e batterie), generare turbolenze finanziarie globali, e alimentare campagne di cyber-attacchi ostili – combinando in un solo grande evento molteplici rischi operativi e di mercato per Enel. Prepararsi al rischio di correlazione significa pianificare scenari complessi, dove più fattori di crisi avvengono insieme, stressando la resilienza aziendale.
Rischio regolatorio: concerne i cambiamenti di normative e politiche a livello nazionale e internazionale che possono sfavorevolmente impattare Enel. È forse il rischio più “quotidiano” in ambito geopolitico, poiché governi e organismi sovranazionali modificano spesso regole del gioco. Tra gli esempi: introduzione di tassazioni straordinarie(come il contributo sugli utili energetici in Spagna nel 2023 o in Italia nel 2023), modifiche ai regimi tariffari (p. es. blocco degli adeguamenti tariffari elettrici per calmierare l’inflazione, misura vista in vari paesi), nuove normative ambientali più stringenti (che possono rendere anti-economiche centrali a carbone o gas). A livello internazionale, l’adesione a trattati o l’uscita da essi (es. accordi sul clima, ETS, etc.) comporta variazioni regolatorie. Un rischio regolatorio estremo è la nazionalizzazione o la revoca di concessioni: in mercati instabili c’è il timore che cambi di regime portino a espropriare asset (come avvenne in passato nell’America Latina con utilities energetiche, o più recentemente la mossa del Messico di rafforzare lo stato nelle reti elettriche). La qualità dello stato di diritto citata nella sezione 1 incide proprio qui: nei paesi UE il rischio regolatorio è mitigato da iter trasparenti e dallo stato di diritto (ma non azzerato, come dimostrano le tasse inattese sugli extra-profitti), mentre in paesi con governance debole il quadro normativo può cambiare improvvisamente e unilateralmente. Enel gestisce questo rischio attraverso un dialogo costante con le autorità (advocacy, partecipazione alle consultazioni pubbliche) e con clausole contrattuali di tutela nei contratti di fornitura lungo termine. Inoltre, mantiene team locali per seguire da vicino l’evoluzione politica/regolatoria di ciascun paese. Tuttavia, resta un rischio sempre presente che può incidere su redditività e modelli di business (si pensi alle discussioni in Europa su un tetto ai prezzi all’ingrosso elettrici o riforme del mercato elettrico, che potrebbero ridurre i margini per i produttori).
Rischio reputazionale: infine, il contesto geopolitico può influire sulla reputazione di Enel, con conseguenze indirette ma importanti. Operare o essere associati a determinati regimi o partner controversi può generare reazioni negative da parte di investitori, opinione pubblica o istituzioni. Ad esempio, società occidentali che hanno tardato a sospendere le attività in Russia dopo l’invasione dell’Ucraina hanno subito danni reputazionali per aver anteposto il profitto a considerazioni etiche – in questo Enel si è mossa relativamente presto vendendo Enel Russia nel 2022, evitando critiche su questo fronte. Un altro caso: acquistare pannelli solari contenenti componenti prodotti con lavoro forzato degli Uiguri in Cina (tema sotto i riflettori internazionali) potrebbe esporre Enel ad accuse etiche e a restrizioni di importazione da parte delle autorità occidentali. Il rischio reputazionale si manifesta anche nelle scelte di partner: ad esempio, collaborare con governi o utility locali coinvolti in violazioni di diritti umani può generare pressione su Enel affinché riveda tali partnership. Investitori istituzionali attenti ai criteri ESG tengono in forte considerazione questi aspetti – Chatham House nota che operare in paesi con scarso rispetto delle libertà civili comporta rischi non solo etici ma anche reputazionali e legali per le aziende e i loro finanziatori. Enel, avendo fatto della sostenibilità un proprio pilastro, deve salvaguardare la coerenza tra i propri valori dichiarati e la presenza geografica: un disallineamento (ad es. progetti in zone di conflitto o in paesi sotto sanzioni internazionali) potrebbe ledere la fiducia di stakeholder chiave. Pertanto, il rischio reputazionale geopolitico spazia dal dover lasciare mercati per motivi etici/politici (rinunciando a opportunità di profitto), fino a danni di immagine che possono tradursi in penalizzazioni di mercato (diminuzione del valore azionario, difficoltà di accesso a finanziamenti sostenibili, ecc.). La gestione attenta della propria footprintgeopolitica diventa dunque parte integrante della strategia di Enel, per mantenere salda la propria reputazione globale.
Rischio di coda (tail risk): infine, vanno menzionati i rischi geopolitici estremi, a bassa probabilità ma di impatto potenzialmente catastrofico. Eventi come lo scoppio di una guerra su larga scala (es. un conflitto NATO-Russia o USA-Cina), un collasso improvviso dell’Unione Europea o della zona euro, oppure rivoluzioni impreviste in grandi paesi partner rappresentano tail events fuori dalle normali distribuzioni di probabilità. La guerra in Ucraina stessa era considerata un’ipotesi poco probabile fino a poche settimane prima dell’invasione, e si è rivelata un rischio di coda con effetti enormi sull’economia e la sicurezza europea. Per Enel, un’ipotetica guerra che coinvolgesse direttamente i paesi dove opera (ad esempio uno scontro che si estenda alla NATO, o una guerra civile in un grande paese emergente) avrebbe conseguenze imprevedibili: perdita o distruzione di asset fisici, interruzione totale di forniture cruciali, crollo dei mercati finanziari e del valore di asset, ecc. Pur essendo scenari estremi, la loro esistenza è riconosciuta – la continuous uncertainty è in crescita e gli shock globali degli ultimi anni lo dimostrano. Enel non può “coprirsi” al 100% da rischi di coda (nessuna azienda può), ma può costruire capacità di risposta rapida alle crisi e assicurazioni dove possibili. Ad esempio, mantenere un bilancio solido e linee di credito disponibili offre resilienza finanziaria anche in condizioni avverse (stress test finanziari vengono svolti per scenari di crollo dei flussi di cassa). Inoltre, piani di business continuity e simulazioni di scenari catastrofici aiutano a preparare l’organizzazione ad evenienze estreme (evacuazione di personale, riconfigurazione delle reti in situazioni di emergenza nazionale, ecc.). L’attenzione ai rischi di coda è parte di un approccio prudenziale: l’esperienza insegna che eventi rarissimi possono comunque accadere e “spezzare” catene di correlazioni considerate robuste.
Proiezione dei rischi geopolitici futuri (5-10 anni)
Guardando ai prossimi 5-10 anni, Enel dovrà gestire un contesto geopolitico in evoluzione, con diversi possibili scenari di rischio
Frammentazione vs cooperazione: uno scenario probabile è il proseguire della frammentazione geopolitica. Le tensioni tra blocchi (Occidente vs Cina/Russia) potrebbero intensificarsi, portando a ulteriori barriere commerciali, sfiducia reciproca e attacchi ibridi. Per Enel ciò significherebbe dover gestire una supply chain sempre più sotto pressione: ad esempio, restrizioni occidentali sull’export di tecnologie verso la Cina potrebbero indurre quest’ultima a limitare l’export di batterie o pannelli, aggravando i colli di bottiglia. In uno scenario di neo-guerra fredda, Enel potrebbe doversi affidare a fornitori “allineati” (friend-shoring) per evitare rischi – già oggi l’UE spinge per accordi di fornitura critici con paesi fidati. Al contrario, uno scenario più cooperativo (meno probabile) vedrebbe le grandi potenze trovare modus vivendi su clima e commercio, riducendo i rischi di shock. In tal caso, Enel beneficerebbe di catene globali più stabili e di un contesto regolatorio più armonizzato. Tuttavia, anche in scenario cooperativo, nuove potenze regionali e attori non-statali potrebbero emergere come fonti di instabilità (es. conflitti locali alimentati da crisi climatiche). Enel dovrà dunque mantenere flessibilità strategica per adattarsi sia a una maggiore regionalizzazione dei mercati energetici, sia eventualmente a opportunità di crescita in nuove aree se il dialogo globale migliorasse.
Evoluzione del mix energetico e rischio associato: nei prossimi 5-10 anni, l’Europa ridurrà drasticamente l’uso di gas e carbone per centrali, puntando su rinnovabili e stoccaggi. Ciò modificherà il profilo di rischio geopolitico di Enel: la dipendenza da forniture fossili estere (gas da Nordafrica, LNG da Qatar/USA) dovrebbe diminuire con il calo del termoelettrico, riducendo un rischio geopolitico tradizionale. Tuttavia, parallelamente aumenterà l’esposizione ai minerali critici e tecnologie pulite, ambiti attualmente dominati da pochi paesi. Quindi il rischio si sposta più che scomparire: da geopolitica del gas/petrolio a geopolitica del litio, del cobalto, dei pannelli solari. Enel in futuro potrebbe trovarsi meno preoccupata di guerre che coinvolgono l’offerta petrolifera, ma molto più sensibile a dispute per il controllo delle miniere di litio in America Latina o delle raffinerie di terre rare in Asia. L’UE ne è consapevole e tramite il Critical Raw Materials Act mira a diversificare entro il 2030 le fonti di materiali (nessun paese extra-UE oltre il 65% di una fornitura critica) e a sviluppare produzione interna. Se questi sforzi avranno successo, tra 5-10 anni Enel potrebbe approvvigionarsi in un mercato di tecnologie pulite più resiliente e meno concentrato (ad esempio con fabbriche europee di batterie e pannelli in grado di coprire una quota significativa del fabbisogno, come auspicato dal Net-Zero Industry Act). In caso contrario, la dipendenza dalla Cina e da altri fornitori dominanti resterà un tallone d’Achille strategico.
Infrastrutture e sicurezza: la prossima decade vedrà una crescente attenzione alla protezione delle infrastrutture critiche. Ci si attende un incremento di investimenti in sicurezza fisica e cyber: NATO e UE hanno già avviato task force specifiche dopo gli incidenti recenti). Enel probabilmente dovrà implementare standard di sicurezza ancora più stringenti (sensori sottomarini per i cavi, cybersecurity ai massimi livelli, cooperazione con intelligence nazionale) per difendersi da minacce asimmetriche. Purtroppo, è ragionevole attendersi che cyber-attacchi e tentativi di sabotaggiocontinueranno ad intensificarsi, poiché fanno parte del toolkit di conflitto ibrido moderno. La differenza è che tra 5 anni Enel potrebbe disporre di sistemi di difesa molto più avanzati (AI per rilevare intrusioni di rete in tempo reale, droni per pattugliare oleodotti, ecc.), ma dovrà fronteggiare avversari altrettanto più sofisticati. Il rischio zero non esisterà, ma la resilienza dovrebbe aumentare. Anche la robustezza delle reti dovrà crescere: con più rinnovabili distribuite, l’infrastruttura sarà più capillare e ridondante, quindi paradossalmente meno vulnerabile ad un singolo attacco rispetto a oggi (quando poche grandi centrali o snodi possono causare blackout su vasta scala). Nel 5-10 anni avverrà questa transizione: la sicurezza energetica passerà anche attraverso la decentralizzazione tecnologica.
Competizione strategica e risposte politiche: a livello macro, la competizione USA-Cina per la supremazia tecnologica ed economica farà da sfondo. Ciò può portare a shock geopolitici improvvisi – ad esempio, nel caso estremo di una crisi su Taiwan, ci sarebbe un terremoto geopolitico globale con implicazioni per tutte le multinazionali, Enel inclusa. Senza spingersi a tale estremo, è probabile un susseguirsi di crisi regionali minori: conflitti localizzati (Medio Oriente, Africa, Sud-est asiatico) e instabilità in alcuni paesi chiave (es. Turchia, area Sahel, ecc.) che indirettamente influiranno su mercati energetici e rotte commerciali. Ad esempio, già il colpo di stato in Niger nel 2023ha destato preoccupazione in Europa per le forniture di uranio (per il nucleare francese). In futuro, Enel potrebbe dover fronteggiare situazioni analoghe per risorse diverse. La politica internazionale cercherà di rispondere: ci si aspetta una proliferazione di alleanze per le supply chain (accordi bilaterali o multilaterali per assicurarsi risorse) – l’UE sta siglando partnership su idrogeno e materie prime con paesi africani e americani, ad esempio. Enel potrà trarre vantaggio da questi accordi se faciliteranno investimenti sicuri in nuovi progetti (es. miniere di litio in paesi stabili, corridoi di idrogeno dal Nordafrica protetti politicamente, ecc.). Di contro, dovrà anche gestire la compliance a eventuali nuovi obblighi: ad esempio requisiti di tracciabilità delle materie (per evitare import da zone di conflitto o lavoro forzato) e standard ESG più stringenti, che sicuramente diverranno parte integrante del business.
Scenario ottimistico vs pessimistico: in uno scenario ottimistico a 10 anni, Enel opererà in un mondo dove le grandi potenze collaborano su clima ed energia, le supply chain critiche saranno state rese più redundant (meno dipendenza monocorde dalla Cina grazie a investimenti in altre aree), e i paesi emergenti avranno in parte stabilizzato le proprie istituzioni grazie anche alla crescita sostenibile. In tal caso, il rischio geopolitico rimarrebbe presente ma relativamente gestibile, con eventi isolati di portata limitata. Enel potrebbe concentrarsi sul core business senza dover continuamente “spegnere incendi” geopolitici. Invece, in uno scenario pessimistico, le tensioni globali potrebbero sfociare in conflitti commerciali prolungati, nuove guerre regionali e un disordine internazionale (“global disorder” in aumento) che renderebbe frequenti shock multipli. Enel in quel caso si troverebbe a operare quasi in modalità crisi permanente, adattando di continuo forniture e investimenti. La verità potrebbe stare nel mezzo: una sorta di “permacrisi” geopolitica a bassa intensità – con vulnerabilità e incertezza continua come “nuova normalità” – ma senza catastrofi globali irreparabili. Ciò richiederà da parte di Enel una gestione del rischio geopolitico integrata nella pianificazione strategica, con aggiornamenti costanti e capacità predittiva (intelligence sui paesi, scenari what-if, piani di contingency).
In conclusione, il profilo di rischio geopolitico di Enel nei prossimi 5-10 anni sarà determinato dall’interazione fra questi fattori: stabilità dei paesi chiave di operatività, evoluzione delle relazioni internazionali (e relative forniture strategiche), efficacia delle contromisure messe in atto (diversificazioni di rotte e fornitori, protezione infrastrutture, ecc.) e imprevedibilità di eventuali eventi estremi. Fonti specialistiche concordano che l’attuale contesto di tensioni geopolitiche e frammentazione continuerà a presentare sfide significative per la sicurezza energetica. Enel dovrà quindi proseguire sulla strada di una maggiore flessibilità, resilienza e sostenibilità, così da poter ridurre la propria esposizione ai rischi geopolitici e reagire prontamente a scenari avversi, garantendo allo stesso tempo l’energia ai paesi in cui opera in un mondo sempre più incerto.
Fonti
World Justice Project – Rule of Law Index 2024: punteggi di vari paesi (Spagna, Italia, Brasile, Messico, ecc.).
Fitch Ratings – Enel and Endesa Rating Affirmation (2024): strategia Enel 2024-26, concentrazione investimenti e mix EBITDA.
Enel – Piano Strategico 2023-2025 / 2025-2027: comunicazioni su focus geografico (uscita da Argentina, Perù, Romania per concentrazione su 6 mercati core).
Commissione Europea – Security of Gas Supply (2024): lezione della crisi russo-ucraina sulla dipendenza e diversificazione del gas.
Consiglio UE – Critical Raw Materials Act (2024): riconoscimento del rischio da concentrazione di materie prime critiche e obiettivi di diversificazione al 2030.
Foreign Policy – Europe’s Solar Industry & China (2024): dati sulla dipendenza europea da pannelli cinesi (96% import) e rischi associati.
Atlantic Council – Chinese dominance in battery supply (2024): quota ~80% Cina in celle batteria globali.
StateScoop – Cyberattacks as Geopolitical Weapon (2024): aumento attacchi a infrastrutture critiche, 420 milioni di attacchi globali 2023-24.
NATO/EU Security – misure per proteggere infrastrutture critiche dopo sabotaggi (Nord Stream, cavi).
Reuters/Reuters Breakingviews – rischio interruzione Suez e impatto su Europa.
Chatham House – ESG and Political Risk (2023): rischio reputazionale e legale per aziende in paesi autoritari (riduzione spazi civici).
CIDOB/EsadeGeo – The World in 2023 (2022): analisi del contesto di “permacrisi” e accelerazione disordine globale post Ucraina.
IEA – World Energy Outlook 2024 (press release): fragilità del sistema energetico globale evidenziate da tensioni geopolitiche e rischi conseguenti.
Metodologia dell’ Analisi del rischio geopolitico
Come si accennava in apertura, l’analisi del rischio geopolitico di Enel è stata condotta con un approccio metodologico che pone al centro la stabilità politica e istituzionale dei paesi in cui l’azienda opera o da cui dipende per le forniture strategiche. Il principale indicatore utilizzato per misurare questo aspetto è stato lo stato di diritto, in quanto riflette la solidità delle istituzioni, la prevedibilità delle politiche economiche e la tutela degli investimenti. Un contesto politico stabile, caratterizzato da un elevato livello di stato di diritto, riduce il rischio di interventi governativi arbitrari, espropri, cambi normativi improvvisi e instabilità sociale. Per questo motivo, ogni paese in cui Enel ha una presenza diretta o da cui dipende per l’approvvigionamento è stato valutato attraverso un’analisi qualitativa della governance, della trasparenza normativa e della sicurezza economica, integrando indicatori riconosciuti a livello internazionale. Questo ha permesso di identificare e classificare i paesi in base al loro livello di rischio geopolitico, distinguendo tra contesti altamente stabili e paesi caratterizzati da incertezza politica e vulnerabilità istituzionale.
Per comprendere la resilienza di Enel a questi rischi e formulare strategie di mitigazione efficaci, è stata applicata la moderna teoria della gestione del portafoglio. Considerando l’azienda come un portafoglio di investimenti distribuito su diverse aree geografiche e fonti di approvvigionamento, l’analisi ha valutato il grado di diversificazione e concentrazione del rischio, identificando eventuali esposizioni critiche a specifici paesi, rotte commerciali o fornitori. È stato inoltre esaminato il livello di correlazione tra i rischi per determinare in che misura shock geopolitici in un’area possano propagarsi ad altri segmenti del business. La classificazione ha distinto tra rischi sistemici, legati a trasformazioni globali non mitigabili attraverso la diversificazione, e rischi specifici, che possono essere gestiti attraverso strategie di allocazione mirata. L’analisi ha incluso anche rischi regolatori, operativi, reputazionali e di mercato, valutando l’impatto che cambiamenti normativi, crisi diplomatiche, conflitti commerciali o instabilità economica possono avere sulle attività di Enel. Questo approccio ha permesso di costruire un quadro strutturato del rischio geopolitico, fornendo una base quantitativa per decisioni strategiche e di gestione della sicurezza operativa nel contesto internazionale.
Altri passaggi metodologici.
Identificazione dei Paesi chiave – Si è definito anzitutto l’elenco dei Paesi rilevanti per l’analisi, tenendo conto di due fattori: (1) la presenza operativa diretta di Enel (Paesi in cui il Gruppo possiede asset significativi di generazione, distribuzione o una base clienti ampia, ad es. Italia, Spagna, Brasile, Cile, Stati Uniti, etc.) e (2) i Paesi di approvvigionamento strategico per materie prime, combustibili o componenti critici (ad es. fornitori di gas naturale, materiali per batterie e rinnovabili, tecnologie chiave). Questo approccio garantisce che l’analisi copra sia i rischi nei mercati di sbocco sia quelli lungo la supply chain globale di Enel.
Focus sulla stabilità politica e stato di diritto – Per ciascun Paese individuato, l’analisi ha attribuito particolare importanza al grado di stabilità politico-istituzionale. In tal senso, l’indicatore ritenuto più affidabile è stato lo stato di diritto, inteso come misura della prevedibilità delle decisioni governative e della tutela degli investimenti stranieri. Un elevato rispetto dello stato di diritto (ad esempio secondo gli indici Worldwide Governance Indicators della Banca Mondiale) indica che esiste fiducia nelle regole, efficace enforcement contrattuale e istituzioni solide, il che riduce il rischio di decisioni arbitrarie, espropri o cambi normativi improvvisi a danno di Enel. Coerentemente, la strategia industriale 2024–2026 di Enel già prevede di concentrare gli investimenti in aree geografiche caratterizzate da un quadro regolatorio chiaro e stabile, a conferma di come la qualità delle istituzioni locali sia un criterio fondamentale di valutazione del rischio Paese.
Analisi qualitativa per Paese – È stata quindi svolta un’analisi qualitativa descrittiva per ciascun Paese chiave. Questa ha incluso la raccolta di informazioni su fattori geopolitici e di rischio specifici: stabilità del governo e scenario politico interno, relazioni internazionali rilevanti (es. appartenenza a blocchi economici, tensioni diplomatiche, rischio di sanzioni), eventuali conflitti armati o disordini sociali, rischio di nazionalizzazioni o interventi statali nel settore energetico, solidità del quadro regolatorio locale in ambito energia, e altri elementi (come rischio di terrorismo, corruzione endemica, presenza di infrastrutture critiche vulnerabili, ecc.). Questa analisi narrativa ha permesso di contestualizzare il profilo di rischio di ogni Paese delineando cause e possibili conseguenze per Enel.
Valutazione quantitativa comparativa – A valle della disamina qualitativa, si è proceduto a una valutazione quantitativa assegnando punteggi a vari parametri di rischio per ogni Paese, così da poter confrontare in modo oggettivo le diverse esposizioni. I parametri valutati includevano: Stabilità politico-istituzionale: un punteggio composito basato su indicatori come lo stato di diritto, l’efficacia di governo, la stabilità del regime e l’assenza di violenza/conflitti. Diversificazione geografica: misura dell’equilibrio del portafoglio geografico di Enel – ad esempio, un Paese ottiene un punteggio migliore se il suo contributo a forniture o ricavi di Enel è bilanciato da altri Paesi (bassa dipendenza unilaterale), mentre un punteggio negativo evidenzia un’eccessiva dipendenza da quel contesto. Concentrazione del rischio: valuta se Enel ha esposizioni critiche concentrate in quel Paese (ad es. una quota molto alta di produzione o un fornitore unico insostituibile). Un’elevata concentrazione incrementa il punteggio di rischio, segnalando vulnerabilità significative se quel Paese dovesse affrontare crisi. Correlazione dei rischi: analisi delle interdipendenze tra Paesi o fornitori. Si è considerato in che misura gli shock geopolitici in due o più Paesi tendono a verificarsi congiuntamente o ad influenzarsi a vicenda. Ad esempio, fornitori situati in regioni diverse ma dipendenti dalla medesima rotta di transito presentano un rischio correlato. Punteggi alti in correlazione indicano che la diversificazione geografica è solo apparente, poiché i rischi non sono realmente indipendenti.
Classificazione dei rischi – I risultati delle valutazioni sono stati interpretati, distinguendo le componenti di rischio diversificabili da quelle sistemiche. In particolare: Rischio sistemico – Rischio geopolitico globale che investe simultaneamente molti Paesi o l’intero settore energetico, e che non può essere eliminato tramite diversificazione. Esempi: grandi trasformazioni geoeconomiche o crisi internazionali (mutamenti negli equilibri tra superpotenze, guerre su larga scala, transizioni energetiche globali) che impattano tutto il contesto in cui opera Enel. Questo tipo di rischio rappresenta il “rischio di fondo” inevitabile, che va gestito con strategie di resilienza piuttosto che evitato. Rischio specifico – Rischio legato a un singolo Paese, fornitore, rotta di approvvigionamento o progetto. È mitigabile attraverso la diversificazione, perché eventi avversi locali (es. instabilità politica in un dato Paese, default di un fornitore specifico, crisi in un singolo mercato) possono essere compensati dalla presenza di alternative in altre geografie. Nell’analisi si è posta enfasi sull’individuazione precisa di questi rischi specifici invece di etichettare genericamente un Paese come “ad alto rischio”, poiché capire la natura particolare del rischio consente di attuare la giusta strategia di diversificazione. Rischio di mercato – Rischio legato alle condizioni di mercato influenzate da tensioni geopolitiche. Include gli impatti che le relazioni internazionali possono avere su prezzi dell’energia, tassi di cambio, inflazione o accesso ai capitali. Ad esempio, sanzioni economiche o guerre commerciali tra blocchi di Paesi possono alterare i costi di approvvigionamento di combustibili e tecnologie, o limitare la possibilità di Enel di operare/commercializzare in determinati mercati. Pur essendo in parte sistemico, il rischio di mercato può essere gestito con coperture finanziarie e adattamenti del modello di business. Rischio operativo – Rischio di interruzioni operative quotidiane dovute a fattori geopolitici. Comprende vulnerabilità della supply chain (ritardi o blocchi nelle forniture per instabilità regionali, scioperi politici, chiusura di rotte strategiche), nonché minacce cyber sponsorizzate da attori statali ostili che possono colpire le reti elettriche o i sistemi informatici di Enel. È un rischio tangibile e immediato, che richiede piani di continuità operativa, ridondanza nelle forniture e robusti protocolli di cybersecurity. Rischio di liquidità – In ottica geopolitica, si riferisce alla capacità di Enel di reagire rapidamente cambiando assetto geografico in risposta a una crisi. Ad esempio, se un Paese diventa improvvisamente ostile o colpito da sanzioni, Enel deve valutare quanto sia “liquida” la sua posizione: può disinvestire o rimpiazzare quel mercato/fornitore in tempi rapidi senza perdite eccessive? Un rischio di liquidità elevato indica rigidità nel riallocare risorse e nel rimodulare contratti di fornitura, esponendo l’azienda a potenziali danni maggiori in caso di shock geopolitici improvvisi. Rischio di concentrazione – Rappresenta l’eccessiva esposizione verso specifiche aree geografiche, regimi politici o anche infrastrutture di transito. Se una porzione significativa del business di Enel dipende da un singolo contesto (ad es. un paese fornitore dominante per un combustibile, o uno stretto marittimo attraverso cui transita gran parte delle importazioni di gas), quel “single point of failure” diventa critico. L’analisi ha quantificato questi casi di concentrazione e suggerito soglie oltre le quali è necessario intervenire per redistribuire il rischio (ad esempio diversificando fornitori o investendo in fonti alternative). Rischio di correlazione – Indica il potenziale effetto domino tra rischi geopolitici apparentemente distinti. Si verifica quando eventi avversi in diverse aree hanno in realtà cause comuni o si influenzano reciprocamente. L’analisi ha considerato scenari in cui, ad esempio, tensioni tra grandi potenze possono contemporaneamente aggravare il rischio in più Paesi (correlazione tra rischi regionali), oppure la dipendenza da alleanze internazionali fa sì che problemi in un Paese alleato si ripercuotano su altri. Identificare le correlazioni aiuta a evitare una falsa sensazione di sicurezza derivante da una diversificazione che in realtà potrebbe non essere efficace in situazioni di crisi concatenata. Rischio regolatorio – Rischio derivante da cambiamenti normativi o di policy a livello internazionale o locale, spesso influenzati dal contesto geopolitico. Include modifiche a leggi sull’energia, nuove regolamentazioni ambientali o di mercato, restrizioni sugli investimenti esteri, regimi fiscali punitivi, o requisiti di local content imposti da governi. Per Enel, variazioni regolatorie sfavorevoli possono alterare la redditività di progetti o vincolare operazioni (ad es. limiti alle rimesse di profitti all’estero, tetti ai prezzi dell’energia, obblighi di cessione di quote a partner locali, ecc.). Il monitoraggio costante degli sviluppi normativi nei vari Paesi è stato parte integrante dell’analisi del rischio geopolitico. Rischio reputazionale – Rischio di danno d’immagine o perdita di fiducia da parte di stakeholder chiave (investitori, clienti, istituzioni) a causa dell’esposizione di Enel a contesti geopolitici controversi. Ad esempio, operare in Paesi oggetto di critiche per violazioni dei diritti umani o associarsi con partner in aree sensibili può generare pressioni sull’azienda e campagne negative. L’analisi ha considerato anche come le scelte di allocazione geografica di Enel possano essere percepite all’esterno, valutando l’eventualità di dover bilanciare opportunità di business con implicazioni etiche e reputazionali. Rischio di coda – Si tratta di eventi rari ma estremi in ambito geopolitico, che hanno bassa probabilità di accadimento ma conseguenze potenzialmente catastrofiche per Enel. Esempi includono lo scoppio improvviso di una guerra civile o internazionale in un Paese chiave, rivoluzioni politiche radicali, collasso economico di stati un tempo stabili, oppure rottura improvvisa di trattati fondamentali. Questi “black swan” geopolitici, pur difficili da prevedere nei dettagli, sono stati contemplati tramite stress test di scenario: l’analisi ha ipotizzato alcuni di questi eventi di coda per valutarne l’impatto e misurare la robustezza del portafoglio geografico di Enel in casi estremi.
Proiezione futura e scenari di mitigazione – Sulla base dell’insieme dei fattori di rischio sopra analizzati, l’ultima fase ha riguardato la proiezione dei rischi geopolitici futuri su un orizzonte di 5-10 anni. Sono stati delineati alcuni possibili scenari evolutivi (scenario base, scenario avverso, scenario ottimistico) tenendo conto di trend globali (es. transizione energetica, evoluzione dei rapporti tra potenze, andamento di regolamentazioni internazionali) e di segnali di cambiamento emersi nei Paesi chiave. Per ciascuno scenario si è valutato come varierebbe l’esposizione al rischio di Enel e quali strategie di mitigazione attiva si potrebbero adottare: ad esempio piani di diversificazione accelerata delle forniture in caso di irrigidimento dei blocchi geopolitici, coperture assicurative o finanziarie contro eventi estremi, rafforzamento delle partnership locali per aumentare la resilienza, o l’eventuale dismissione graduale da mercati troppo rischiosi. Questa pianificazione anticipatoria, coerente con le best practice di analisi geopolitica, garantisce che le raccomandazioni siano integrate nella strategia aziendale, permettendo ad Enel di affrontare con maggiore preparazione le incertezze dello scenario internazionale futuro.
Coerenza delle fonti e best practice: L’intera analisi è fondata su informazioni provenienti dai documenti ufficiali di Enel (per allineare l’analisi alle reali esigenze e strategie dell’azienda) nonché su dati e indicatori internazionali riconosciuti per la valutazione dei rischi Paese. I parametri di valutazione utilizzati (come lo stato di diritto, la concentrazione delle esposizioni, la correlazione dei rischi) sono mutuati da metodologie consolidate in ambito finanziario e di risk management, assicurando coerenza e rigore nell’impostazione. Inoltre, l’applicazione della teoria del portafoglio ai rischi geopolitici e l’adozione di un approccio multi-scenario prospettico riflettono le best practice moderne nell’analisi strategica, fornendo a Enel un quadro solido su cui basare decisioni informate in materia di innovazione tecnologica e di espansione internazionale futura.