Come proteggere la governance societaria durante la crescita
Man mano che una startup cresce e accoglie nuovi investitori, partner e dipendenti chiave, la governance societaria – ossia l’insieme di regole e strutture decisionali dell’azienda – diventa più complessa. Proteggere una governance equilibrata significa assicurarsi che i fondatori possano continuare a guidare l’azienda secondo la loro visione, pur integrando gli apporti e i diritti dei nuovi soci, e che la struttura decisionale rimanga efficiente e funzionale alla crescita. Diversi strumenti e accorgimenti possono essere adottati, sin dalle prime fasi, per prevenire situazioni in cui i fondatori perdano il controllo o in cui la governance si impantani in conflitti.
Uno dei metodi più noti per tutelare il controllo dei fondatori è l’uso di azioni con voto multiplo o strutture dual-class. Alcune startup (soprattutto quando si preparano a IPO o con fondatori di grande attrattiva) emettono due classi di azioni: una per i fondatori con, ad esempio, 10 voti per azione, e una per gli investitori con 1 voto per azione. In questo modo, pur detenendo magari meno del 50% del capitale economico, i fondatori mantengono oltre il 50% dei diritti di voto, preservando il controllo su decisioni strategiche e governance post-quotazione. È una pratica comune in diverse Big Tech americane. Tuttavia, nel mondo delle startup VC-backed non quotate, specialmente in Europa, le azioni a voto multiplo non sono frequenti nelle fasi iniziali perché gli investitori venture generalmente resistono a concederle (accettandole solo in casi particolari, come sottolineato da esperti legali). In Italia le startup innovative possono emettere categorie di quote con diritti diversi, ma la prassi vede poche dual-class pre-IPO. Dunque, per la maggior parte delle startup, la protezione della governance passa da altre leve.
Una leva chiave è negoziare patti parasociali e termini di investimento bilanciati. Ad esempio, nei term sheet dei round di finanziamento, i founder devono prestare attenzione a clausole che possano limitare eccessivamente la loro autonomia: diritti di veto troppo stringenti degli investitori su decisioni ordinarie, oppure covenants che impongono soglie rigide (come il divieto di superare un certo budget senza consenso). È comprensibile che un investitore chieda veto su atti straordinari (vendere l’azienda, cambiare lo statuto, emettere nuovo debito, etc.), ma i founder dovrebbero evitare di concedere veti su scelte operative come piani di assunzione o spese di marketing, altrimenti ogni mossa richiederà contrattazione. In sede di accordi, definire con chiarezza quali materie sono “riserva del consiglio” e quali sono delegate al management aiuta a prevenire ingerenze quotidiane. Inoltre, i founder possono richiedere contrattualmente alcune protezioni: ad esempio, una clausola che impedisca la loro rimozione arbitraria dalla carica di CEO almeno per un certo periodo (o che la subordini a super-maggioranze in CdA), in modo da evitare che un investitore con un controllo relativo possa estrometterli facilmente. Anche l’allocazione di seggi nel CdA è cruciale: assicurarsi che, pur dando spazio ai nuovi soci, il numero di consiglieri controllati dai fondatori (inclusi magari indipendenti a loro vicini) resti pari o superiore a quelli nominati dagli investitori. Ad esempio, in un board di 5, i founder potrebbero occuparne 2, investitori 2 e un indipendente concordato: in caso di conflitto, l’indipendente spesso decide, quindi va scelto con attenzione e preferibilmente allineato con la visione aziendale. Pianificare la composizione del board per le future fasi (ad esempio stabilendo che dopo la Serie A il board passerà a 5 membri: 2 fondatori, 2 VC, 1 indipendente) permette di prevenire disequilibri.
Un altro strumento, meno formale ma efficace, è mantenere un’alta quota azionaria in mano ai fondatori il più a lungo possibile. Questo non vuol dire rifiutare investimenti, ma calibrarli: se i founder rimangono intorno o sopra il 50% delle azioni votanti fino almeno alla Serie A/B, possono comunque prevalere nelle assemblee dei soci ordinarie, che in molti ordinamenti eleggono il board. Per farlo, bisogna limitare la diluizione in early stage: ad esempio, evitare di cedere troppa equity nei primi round, o aumentare il capitale gradualmente in più tranche. Molti fondi seed tengono conto di ciò, poiché sanno che founder eccessivamente diluiti perdono motivazione e controllo, il che nuoce all’azienda stessa. Se invece la struttura del capitale si frammenta troppo presto (ad esempio 4 co-founder scendono al 30% totale dopo seed e Serie A), i fondatori rischiano di essere minoranza decisionale. Una buona pratica è anche concordare meccanismi di vesting sulle quote dei founder: può sembrare controintuitivo (ci si vincola), ma in realtà protegge la governance da scenari patologici, come un co-founder che lascia e mantiene un grande blocco di equity senza più contribuire (dead equity). Con un vesting, se un founder se ne va, le sue quote non maturate rientrano e possono essere ridistribuite, evitando che costui possa magari fare asse con investitori contro i rimanenti dall’esterno.
Man mano che crescono numero di soci e consiglieri, è utile formalizzare buone pratiche di governance: istituire regole chiare per le riunioni (frequenza, quorum) e canali di comunicazione con i soci (reporting periodico). Questo in un certo senso “disinnesca” conflitti, perché tutti sanno come e quando verranno prese decisioni e ricevute informazioni. Ad esempio, un calendario di board meeting trimestrali con pre-lettura di materiali e verbali accurati riduce le incomprensioni e frena eventuali tentativi di prendere decisioni affrettate fuori dalle sedi deputate. Anche l’introduzione di independent board member autorevoli e neutrali può proteggere la governance: una figura indipendente può mediare tra fondatori e investitori in caso di divergenze e portare una prospettiva super partes (magari un imprenditore esperto di fiducia di entrambe le parti). Molti fondi sono favorevoli ad avere indipendenti nel board proprio per garantire equilibrio e professionalità.
Un altro aspetto di protezione è prepararsi a situazioni di stress, come un down round o tensioni sui risultati. In questi casi, gli investitori potrebbero voler intervenire più pesantemente nella gestione. Se i founder hanno costruito credibilità con una governance trasparente e performance comunicata onestamente, avranno più voce in capitolo per dire “guidiamo noi la ristrutturazione”. Può essere utile aver concordato precedentemente con i principali investitori una sorta di “protocollo” in caso di crisi: ad esempio, l’impegno a lavorare insieme su misure di efficienza per X mesi prima di considerare sostituzioni di management. Non sempre tali accordi sono formalizzati, ma se c’è un rapporto di fiducia si possono mettere nero su bianco linee guida.
Dal lato opposto, proteggere la governance significa anche evitare che i founder stessi creino meccanismi poco sani: ad esempio, nepotismi nel board (inserire familiari privi di competenze) o mancanza di trasparenza verso i soci. Questi atteggiamenti possono innescare reazioni forti dai soci (sfiducia, richieste di rimuovere i founder). Quindi “proteggere” la governance non è solo blindare il controllo dei founder, ma anche garantire buona governance. Paradossalmente, una governance bilanciata e professionale protegge i founder più di una squilibrata: se gli investitori percepiscono che l’azienda è ben governata, hanno meno ragioni per interferire. Esempio: mantenere fin dall’inizio bilanci certificati, audit contabili indipendenti se opportuno, comitati interni per particolari materie (es. comitato remunerazioni) può sembrare prematuro in una startup, ma in fase scaleup dà sicurezza ai soci che le cose siano fatte per bene, evitando sospetti o attriti.
Nella crescita, potrebbe avvenire che entrino nuovi investitori con peso maggiore (es: un lead VC in Serie B). Ciò rischia di ribaltare equilibri di governance. Qui è centrale negoziare l’ingresso del nuovo socio in modo da salvaguardare alcune prerogative. I fondi successivi spesso vogliono più diritti e board seat: i founder devono cercare di limitare questa erosione magari convincendo i nuovi a condividere un seggio con quelli esistenti, o aumentando il board aggiungendo anche un indipendente di loro gradimento insieme al nuovo seggio VC. Un concetto noto è “control vs ownership”: i founder possono cedere ownership (quote) mantenendo control (governance) se giocano bene le carte. Questo spesso comporta far entrare i giusti investitori: selezionare soci “founder-friendly” (ad esempio alcuni fondi hanno reputazione di lasciare più libertà gestionale), e costruire con loro un rapporto di allineamento sulla visione di lungo termine. Se investitori e founder condividono la visione, è meno probabile che vi siano scontri di governance. Ad esempio, se tutti concordano che l’obiettivo è l’IPO tra 5 anni, sarà meno probabile che qualcuno forzi una vendita anticipata disallineata.
In alcuni ecosistemi, i founder adottano anche la pratica di riservarsi diritti speciali nello statuto. Ad esempio, in Delaware è comune prevedere che alcune decisioni (p.es. modifica di statuto) richiedano il voto favorevole di una classe di azioni detenuta solo dai founder, dando di fatto veto su cambiamenti fondamentali di governance. Questo, di nuovo, va contrattato con i primi investitori (che devono accettarlo). Un’altra protezione è l’accordo di blocco tra founder: se sono più co-founder, presentarsi compatti con un patto di sindacato che uniforma il voto tutela dall’essere “divisi e conquistati”. Investitori poco etici potrebbero provare a mettere i founder uno contro l’altro: se i founder agiscono come un unico blocco, questo rischio cala. Naturalmente ciò presuppone fiducia e allineamento interno tra i founder stessi.
In conclusione, proteggere la governance societaria durante la crescita richiede una combinazione di strumenti tecnici(clausole statutarie, patti, struttura azionaria) e di comportamenti strategici (scelta degli investitori, trasparenza, creazione di fiducia). L’obiettivo finale è assicurare che l’azienda possa continuare a prendere decisioni rapide e coerenti con la visione, senza essere ostaggio di minoranze di blocco o divergenze insanabili. Come nota finale, è importante considerare che una governance troppo “blindata” a favore dei founder può rendere l’azienda meno investibile per nuovi soci: serve equilibrio. Un founder dovrebbe puntare ad avere abbastanza controllo da portare avanti il progetto, ma anche a creare le condizioni per cui tutti i soci si sentano tutelati. In tal modo, la governance diventa un fattore di forza e non di conflitto, permettendo all’impresa di crescere in modo armonioso e allineato.